tag:blogger.com,1999:blog-79790151064149019772024-03-13T11:34:11.612+01:00Sul RomanzoRadameshttp://www.blogger.com/profile/05342864890287900616noreply@blogger.comBlogger1354125tag:blogger.com,1999:blog-7979015106414901977.post-25833603335905442212010-11-30T09:08:00.000+01:002010-11-30T09:08:32.798+01:00L'orto degli altri - 5: l'uomo in fabbrica, macinato dal sistema<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://4.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TPSvd44bQDI/AAAAAAAACHs/ZEdjUaUE-lI/s1600/remo_bassini.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://4.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TPSvd44bQDI/AAAAAAAACHs/ZEdjUaUE-lI/s320/remo_bassini.jpg" width="216" /></a></div><b>Di Morgan Palmas</b> <br />
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<div style="text-align: justify;">Dopo il <a href="http://www.sulromanzo.it/2010/11/lorto-degli-altri-4-vade-retro.html"><b>post</b></a> di Morena Fanti della settimana scorsa, vi propongo oggi uno di Remo Bassini, una persona che ho imparato a stimare sempre più con il trascorrere del tempo (vi consiglio di seguire il suo <a href="http://remobassini.wordpress.com/"><b>blog</b></a>). Non ci siamo mai incontrati Remo e io, soltanto sentiti via mail, soprattutto quando vivevo ancora a Roma. In quel periodo gestivo un blog che si dedicava al mondo dei senzatetto (Acme del Pensiero), ma cercava attraverso la forza delle sue piccole iniziative di aprire la prospettiva solidale, sono certo che chi mi conosce da anni ricordi nomi come Benito, Mouldi o Gramos. </div><div style="text-align: justify;"><a href="http://www.sosinfanzianelmondo.org/gramos.html"><b>Gramos</b></a> è un ragazzino kosovaro malato, molto malato, che cercammo di aiutare in diversi modi, in particolare dal punto di vista economico, giacché le sue cure, imprescindibili, sono assai costose. Parteciparono centinaia di persone da tutta Italia, fu un’esperienza toccante per molti, ricordo ancora come fosse adesso quando lo andavo a trovare all’ospedale Bambino Gesù di Roma, incontrando la madre, oltre che Gramos. Ma questa è un’altra storia. </div><div style="text-align: justify;">Remo Bassini partecipò alla pubblicazione d’un libro che dedicammo a Gramos appunto, scrivendo la prefazione. Parole che mi rimasero nella mente per la loro umanità e umiltà. Credo che questo post che vi propongo oggi dica molto di Bassini, della sua umanità, della sua umiltà. Buona lettura e a martedì prossimo. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">***</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><b>"L’uomo in fabbrica, macinato dal sistema" di Remo Bassini</b></div><div style="text-align: justify;"><b><br />
</b></div><div style="text-align: justify;">Quando avevo 19 anni, fresco di diploma, non andai a lavorare in fabbrica per una questione di sopravvivenza. Certo, ricchi non si era: ma mio padre mi diceva che se volevo studiare i soldi sarebbero saltati fuori, messi da parte. Mia madre invece non capiva come mai non m’interessasse entrare in banca, le avevano detto che avrei potuto.</div><div style="text-align: justify;">Volli andare in fabbrica perché volevo.</div><div style="text-align: justify;">Avevo letto Marx, Gramsci, Bordiga, Rosa Luxemburg, Labriola.</div><div style="text-align: justify;">Livio Maitan e Sylos Labini.</div><div style="text-align: justify;">Leggevo un giornalista che mi piaceva, allora, Edgardo Pellegrini.</div><div style="text-align: justify;">Leggevo Sartre, e, dico la verità, non gli credevo: l’alienazione? Mio padre non è un alienato, pensavo.</div><div style="text-align: justify;">Ma soprattutto: non mi convinceva quel che dicevano quelli che ruotavano attorno al Movimento Studentesco, a Lotta Continua: parlavano di fabbrica e di classe operaia, loro, ma alla fin fine che (cazzo: scusate) ne sapevano?</div><div style="text-align: justify;">Così ci andai: 7 anni.</div><div style="text-align: justify;">(Gli ultimi due, da studente lavoratore. Con la voglia di scappar via, dai rumori della fabbrica).</div><div style="text-align: justify;">Sette anni di sindacalismo, anche. Nella Cisl di Pierre Carniti. Erano, quelli, gli anni del compromesso storico. Pci e Cgil – così a me sembrava – volevano dimostrarsi “rassicuranti” nei confronti di patronato e della democrazia cristiana.</div><div style="text-align: justify;">Io, invece, maturai una convinzione: che la fabbrica è il peggior lavoro. E che era sacrosanta la rivendicazione della riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali.</div><div style="text-align: justify;">Perché la fabbrica ti “sfrutta”, impoverendoti. Dopo otto ore di lavoro hai voglia di riposarti, di passeggiare per cercare di dimenticare i rumori e i gas e i capi che urlano, preferisci guardare la televisione a un libro.</div><div style="text-align: justify;">Mi fermo, ne avrei di cose da dire. Troppe.</div><div style="text-align: justify;">Dico solo che otto ore in fabbrica son tante di più.</div><div style="text-align: justify;">Per lavarti le mani, cercare di toglierti l’unto che non va via e che ti ha macchiato la pelle, impieghi anche dieci minuti, e ti fai male, usando la pasta lavamani.</div><div style="text-align: justify;">Dieci minuti al giorno fa almeno trenta ore l’anno. A togliersi l’unto. Il rumore dei macchinari invece ti accompagna sempre: ti insegue quando esci dalla fabbrica, poi ti resta dentro, anche quando dormi.</div><div style="text-align: justify;">In fabbrica si parla soprattutto di figa, di calcio, della famiglia, di salute, di soldi.</div><div style="text-align: justify;">Ma soprattutto di figa e di calcio e di ferie: il tempo passa più in fretta.</div><div style="text-align: justify;">Poi si sogna, in fabbrica: di cambiar lavoro. I ruffiani non sognano, agiscono: magari diventeranno capi, oppure impiegati se hanno un diploma, basta leccare.</div><div style="text-align: justify;">Sorridere a trentadue denti al tal dirigente, che magari è un caprone. Non fare sciopero.</div><div style="text-align: justify;">In fabbrica si impara. La solidarietà. Si diventa amici. Si dividono sigarette e sogni.</div><div style="text-align: justify;">Si impara a usare un linguaggio diverso, certo: son cose da ridere, si sa.</div><div style="text-align: justify;">Poi c’è anche la cattiveria, a volte. Una sorta di mobbing bastardo, che si espande come la nebbia.</div><div style="text-align: justify;">Di operai contro altri operai.</div><div style="text-align: justify;">Contro la checca, contro la ragazza che si dice la dia via con facilità, contro chi fa l’intellettuale e non s’abbassa a parlar di figa e di calcio. A volte contro il ritardato. A volte…</div><div style="text-align: justify;">Ma ho visto anche tanto rispetto: per gli anziani, per chi sta male. E per il coraggio.</div><div style="text-align: justify;">Se oggi qualche operaio mi chiede dei consigli di lettura, io, che non sono credente ma agnostico, non dico (più) né Marx, né Labriola. Nè Gramsci (e mi spiace, non poterlo dire).</div><div style="text-align: justify;">Dico don Lorenzo Milani.</div><div style="text-align: justify;">Dico don Luisito Bianchi.</div><div style="text-align: justify;">Di Luisito Bianchi è appena uscito il libro «I miei amici», Diari (1968 – 1970), casa editrice Sironi, 906 pagine, 24 euro.</div><div style="text-align: justify;">Tante pagine e tanti soldi per comprare questo libro, certo.</div><div style="text-align: justify;">Ma ne val la pena.</div><div style="text-align: justify;">La quarta di copertina (che sospetto sia opera di Paola Borgonovo) è una gran bella quarta di copertina.</div><div style="text-align: justify;"><i>«Per la prima volta, questa notte, con insistenza, a lungo, senza attenuanti, ho maledetto la fabbrica. Avessi avuto il potere taumaturgico di Cristo, i motori si sarebbero fermati, le tine sventrate, le ciminiere sgretolate. L’orgoglio del fico avrebbe ceduto allo squallore della desolazione. Mi è apparso, in tutta la sua crudezza, quello che vale l’uomo in fabbrica, macinato dal sistema: nulla. A che serve la mia vita? A fare un bel gesto? A vivere l’Evangelo? A preparare un tempo più autentico per la Chiesa? Ad assommare inutilità su inutilità, vanità su vanità? Veramente Dio tace. Siamo nel periodo del sepolcro vuoto e del silenzio del Risorto».</i></div><div style="text-align: justify;">Anche Luisito scelse di andare in fabbrica: ché avrebbe potuto fare il prete con la paga che prendono i preti, e le offerte durante la messa.</div><div style="text-align: justify;">Invece andò in fabbrica, tra gli ultimi, per capire.</div><div style="text-align: justify;">E per guadagnarsi da vivere, nel segno della gratuità.</div><div style="text-align: justify;">«Quando Gesù Cristo si è fatto uccidere in croce non l’ha fatto in cambio di uno stipendio… e quando i giovani partigiani andavano a combattere e a morire l’hanno fatto con gratuità…. io non li ho seguiti, non andai a combattere e mi spiace…».</div><div style="text-align: justify;">Per questo post ringrazio Orasesta: lei sa perchè.</div><div style="text-align: justify;">E ringrazio Luisito: anche a nome dei «miei amici», quelli che una vita fa ho salutato, il giorno in cui timbrai la cartolina, per l’ultima volta.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">[Fonte: <a href="http://remobassini.wordpress.com/2008/04/26/luomo-in-fabbrica-macinato-dal-sistema/"><b>Altri Appunti</b></a>]</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div>Radameshttp://www.blogger.com/profile/05342864890287900616noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7979015106414901977.post-44775826029133132282010-11-30T08:42:00.000+01:002010-11-30T08:42:10.391+01:00La parola del giorno - 20<div style="text-align: justify;"><b>Di Morgan Palmas</b></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><b>Fórra </b>s. f. Profonda gola a pareti verticali e avvicinate, tra le quali scorre un corso d’acqua. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">(se anche voi volete proporre una parola desueta ai nostri lettori, scrivete a sulromanzo@libero.it, con Oggetto: parola del giorno).</div>Radameshttp://www.blogger.com/profile/05342864890287900616noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7979015106414901977.post-53540946164160913982010-11-30T08:38:00.000+01:002010-11-30T08:38:10.046+01:00“La stasi dietro il lavello” di Claudia Rusch<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TPSo3kThkfI/AAAAAAAACHo/xaTRgHp73n8/s1600/Sul+Romanzo_La+stasi+dietro+il+lavello_Claudia+Rush.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://3.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TPSo3kThkfI/AAAAAAAACHo/xaTRgHp73n8/s320/Sul+Romanzo_La+stasi+dietro+il+lavello_Claudia+Rush.jpg" width="221" /></a></div><b>Di Alessia Colognesi</b> <br />
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<i>“La stasi dietro il lavello” di Claudia Rusch (Keller editore)</i><br />
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<div style="text-align: justify;">La storia della nostra terra tratteggia la nostra esistenza con immagini latenti che il tempo imprime di noi.</div><div style="text-align: justify;">I giorni di una vita si susseguono come i fotogrammi negativi di una lunga pellicola e come in una radiografia fotosensibile ci rimangono per sempre impressi il luogo e il tempo in cui nasciamo.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">“La Stasi dietro il lavello” è storia di breve periodo, la realtà di una donna che vive la quotidianità di una nazione che la storia ha diviso e poi riunito. Una quotidianità lacerata, oppressa, riletta dalla scrittura a tratti ironica e pungente di una bimba diventata donna che sogna la libertà, rinchiusa tra le mura di cinta di un mondo immobile. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Berlino, fermata nel tempo e scandita di piccoli fatti quotidiani, scorre davanti agli occhi dei suoi lettori incapaci di comprendere cosa significhi vivere sotto continuo scacco della polizia senza poter fuggire altrove.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Una scrittura con la forza vitale della testimonianza che rende vivide e concrete le conseguenze che le scelte politiche possono esercitare sulla vita dell’uomo. </div><div style="text-align: justify;">La politica che si specchia nei racconti di Claudia Rusch, è grigia e opprimente. Per nulla lontano dalla vita di tutti i giorni. Il potere incatena e rende schiavo un paese intero.</div><div style="text-align: justify;">A leggere i pensieri della Rusch capisci che non è poi così vero che la politica è un fatto degli altri, che non interessa la vita dei più. </div><div style="text-align: justify;">La politica ti cambia fin nel profondo, a partire dalle piccole cose che stanno a fondamento dell’esistenza di ogni uomo.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">“La Stasi dietro il lavello” è un’autobiografia in cui il tempo pare essersi fermato, scandito in piani di sequenza alternati. Storie del passato che influenzano il presente e sono monito per il futuro, come se il potere politico dell’uomo sull’uomo facesse risentire i propri effetti in ogni tempo.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Claudia Rusch è nata in Germania negli anni Settanta, da bambina vive su un’isola che si affaccia sul mare scandinavo, è lì che il viaggio inizia a rappresentare per lei il sogno della libertà verso un orizzonte irraggiungibile. </div><div style="text-align: justify;">Fin da piccola non capisce perché il suo mondo finisce nel blu, che separa la Germania dalla Svezia.</div><div style="text-align: justify;">Quando più tardi si trasferisce a vivere a Berlino con la madre, vede coi suoi occhi la DDR, un punto senza libertà, delimitato dal filo spinato dei soldati di Berlino est. Improvvisamente nella sua vita compare la Stasi, una presenza assidua che condiziona l’esistenza di tutti i cittadini della DDR senza lasciarli mai. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Berlino è invasa di scarafaggi, così li chiamano in codice, soldati intenti ad osservarti, come insetti silenziosi insinuati in ogni dove.</div><div style="text-align: justify;">Il racconto che dà il titolo al libro nasce da un fraintendimento di parole. Gli scarafaggi di Berlino est sono prima di tutto guardie e solo secondariamente gli insetti comuni a tutti.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Quando la protagonista, appena arrivata a Berlino, entra nell’appartamento di un coetaneo che vive in uno studentato a est della città, gli scarafaggi si materializzano davanti a lei in un gioco di parole. Dietro al lavello della cucina del ragazzo s’infratta la vita blindata di un bravo cittadino della DDR.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">La scrittura della Rusch ti mostra le DDR come in un diario di ricordi, le vicende, vissute e narrate in prima persona, sembrano fotografie immortalate da un resoconto intimo che l’autrice regala al suo lettore. I pochi discorsi diretti tra i protagonisti delle storie servono a rafforzare lo sviluppo di una narrazione della memoria, capace di dimostrare prima ancora che a coinvolgere in storie personali.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">È il 1989. Per Claudia è l’anno della maturità, per Berlino quello della caduta del muro. La bellezza inaspettata della libertà si nasconde nelle piccole cose. Un succo di banana, il mare caldo del Mediterraneo, la musica che circola libera nell’etere e spira dall’aria d’occidente. </div><div style="text-align: justify;">Oltre il varco c’è un universo straniero, Claudia non c’è mai stata, ma lo conosce da sempre. È il suo posto nel mondo.</div>Radameshttp://www.blogger.com/profile/05342864890287900616noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7979015106414901977.post-86925440031624247452010-11-30T08:29:00.000+01:002010-11-30T08:29:49.040+01:00Note di prosa - 43<b>Di Anna Costalonga</b> <br />
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<div style="text-align: center;"><i>Oltre il tempo, oltre un angolo</i> di Cristina Campo</div><div style="text-align: center;"><br />
</div><div style="text-align: center;"><i>What sorrow</i></div><div style="text-align: center;"><i>beside your sadness</i></div><div style="text-align: center;"><i>and what beauty</i></div><div style="text-align: center;"><i>W. C. Williams</i></div><div style="text-align: center;"><br />
</div><div style="text-align: center;">Troppe cose hanno accolto le tue palpebre</div><div style="text-align: center;">l'attenzione ti ha consumato le ciglia.</div><div style="text-align: center;">troppe vie t'hanno ripetuta,</div><div style="text-align: center;">stretta, inseguita.</div><div style="text-align: center;"><br />
</div><div style="text-align: center;">La città da secoli ti divora</div><div style="text-align: center;">ma travede per te, sogno e sfacelo</div><div style="text-align: center;">di luci e piogge, lacrime senili</div><div style="text-align: center;">sulla ragazza che passa</div><div style="text-align: center;">febbrile, indomabile, oltre il tempo, oltre un angolo.</div><div style="text-align: center;"><br />
</div><div style="text-align: center;">Ritorna! Gridano i vecchi di Santa Maria del Pianto,</div><div style="text-align: center;">la frotta della Piscina di Siloè</div><div style="text-align: center;">con i randagi, gl'ibridi, gli spettri</div><div style="text-align: center;">che non si sanno e tu sai</div><div style="text-align: center;">radicati con te</div><div style="text-align: center;">nel glutine blu dell'asfalto</div><div style="text-align: center;">e credono al tuo fiore che avvampa, bianco -</div><div style="text-align: center;"><br />
</div><div style="text-align: center;">poiché tutti viviamo di stelle spente.</div><br />
<object height="320" width="400"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/_YlbxkjPAH8?fs=1&hl=it_IT"></param><param name="allowFullScreen" value="true"></param><param name="allowscriptaccess" value="always"></param><embed src="http://www.youtube.com/v/_YlbxkjPAH8?fs=1&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true" width="400" height="320"></embed></object>Radameshttp://www.blogger.com/profile/05342864890287900616noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7979015106414901977.post-18680262941412431872010-11-30T08:22:00.000+01:002010-11-30T08:22:48.844+01:00La piccola e media editoria r-esiste<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TPSmAAwN-BI/AAAAAAAACHk/0qi1o1rO-Sc/s1600/libroamilano.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://3.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TPSmAAwN-BI/AAAAAAAACHk/0qi1o1rO-Sc/s1600/libroamilano.jpg" /></a></div><b>Di Deborah Pirrera</b> <br />
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<i>Un libro a Milano. Il Salone della piccola e media editoria indipendente</i><br />
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<div style="text-align: justify;">Metti un weekend di novembre a Milano, uno di quelli in cui il tempo è tutt’altro che clemente: cosa ci può essere di meglio che scoprire che la tanto paventata scomparsa dei piccoli e medi editori, anche se solo per tre giorni, non è poi così vera e, si spera, neanche così vicina?</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">“Un libro a Milano, II Salone della piccola e media editoria indipendente” ha riempito per tre giorni, dal 26 al 28 novembre scorso, le sale del SuperstudioPiù di via Tortona sfatando due grossi preconcetti. Il primo, che la crisi della piccola e media editoria inglobata dalle grandi case editrici ne abbia già decretato la fine; il secondo, e forse più importante, che a scegliere questi editori “minori” siano degli autori di serie b. Ne aggiungerei un terzo, ma bisognava forse esserci per crederci, che la gente non legga e che non acquisti libri di autori meno noti.</div><div style="text-align: justify;">Il Salone, nella sua formula e nella gestione degli spazi, ha ricordato per molti tratti quello più noto della Fiera del libro di Torino, manifestazione all’ennesima edizione che si svolge al Lingotto nel periodo primaverile. Stand affollati di lettori e curiosi, presentazioni di libri svolte in contemporanea in più punti segnalati dalle mappe stampate sui programmi e da una voce al megafono per ricordarne l’inizio, spazi per bambini, spazi ristoro, divani a disposizione per una pausa lettura.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Di certo un grosso problema per la piccola editoria è quello di fare arrivare la propria voce al lettore, colpa dei costi di distribuzione e di quelli di copertina che non possono essere abbattuti. Il Salone del libro di Milano è stato una grande occasione, una cassa di risonanza non indifferente.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Dietro agli Stand editori come Giulio Perrone Editore, Gruppo Perdisa Editore, Adelphi, Edizioni Bignami, Nottetempo solo per citarne alcuni, e poi tante edizioni per bambini e ragazzi, genere fin troppo trascurato ma estremamente significativo in seno al mercato del libro, con Edizioni Artebambini, L’Isola dei ragazzi, Topipittori e altri.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Tra le tante, mentre mi aggiravo tra gli stand e inseguivo le varie presentazioni passando da un noir a un libro sulla relazione fra cinema mente e corpo, merita di essere segnalata l’originale iniziativa di Donnedicarta: la prima casa editrice per lettori di cui abbia mai sentito parlare.</div><div style="text-align: justify;">L’associazione no profit Donnedicarta è nata a Roma nel 2008 dall’idea di quattro donne inaugurando un modello di cooperazione fra editori, librai, autori e lettori; una sorta di catena di solidarietà per un obiettivo comune: la lettura. L’associazione ora raccoglie appassionati in ogni parte d’Italia, dai 16 ai 92 anni, ha toccato 90 tappe nel giro dell’ultimo anno e vanta uno statuto sul Diritto alla lettura. Sulla scia del progetto dello scrittore madrileno Antonio Rodriguez Menendez la proposta è quella di imparare a memoria dei libri, noti e meno noti, e andare in giro a dirli a voce alta per condividere insieme il piacere puro della parola, dell’ascolto e del tempo che si fa lento.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Dopo aver assistito per un’ora alla performance di sei “donne-libro” che fanno i mestieri più disparati ma che sono principalmente delle lettrici appassionate, ognuna delle quali ha recitato a memoria brani di autori noti, notissimi o poco noti con evidente commozione, alla domanda rivolta al pubblico “Tu che donna-uomo libro sei?” ho risposto accorata “Io sono Cent’anni di solitudine di Marquez” poi sono corsa a casa a impararne a memoria la prima pagina. Magia della lettura.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div>Radameshttp://www.blogger.com/profile/05342864890287900616noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7979015106414901977.post-50780052857991983082010-11-29T10:55:00.001+01:002010-11-29T11:05:13.014+01:00Il nuovo Sul Romanzo: pronti?<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://2.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TPN36JPbK1I/AAAAAAAACHc/dMFrfcfP3rc/s1600/Sul+Romanzo_vedere+lontano.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="213" src="http://2.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TPN36JPbK1I/AAAAAAAACHc/dMFrfcfP3rc/s320/Sul+Romanzo_vedere+lontano.jpg" width="320" /></a></div><b>Di Morgan Palmas</b><br />
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<i>Il futuro di Sul Romanzo</i><br />
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<div style="text-align: justify;">Avevo annunciato qualcosa lo scorso <a href="http://www.sulromanzo.it/2010/09/siamo-tornati-online-sul-romanzo-fra.html"><b>6 settembre</b></a> (per chi ha perso il post, consiglio di leggerlo), finalmente <b>mercoledì 1 dicembre</b> Sul Romanzo vivrà una nuova evoluzione, sono stati mesi non facili: vagliare le idee, confrontarsi con i più stretti collaboratori, coinvolgere tutti gli altri, conoscere e studiare alcune tematiche, stringere e rafforzare rapporti con case editrici ed editor, convogliare in un unico sito talenti, professionalità e speranze. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><b>Perché? </b></span></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Per una naturale conseguenza di un percorso nato nell’aprile del 2009, quando quasi per scherzo, ritornato dopo anni di spostamenti nel piccolo paese natio, ho deciso di aprire Sul Romanzo, nel quale condividevo i miei semplici appunti di scrittura accumulati negli anni. </div><div style="text-align: justify;">È trascorso un anno e mezzo e non smetto mai di stupirmi di come tante persone ora seguano con piacere Sul Romanzo ogni giorno. Siamo quasi cinquanta collaboratori, produciamo contenuti sei giorni su sette, è nata all’inizio del 2010 la webzine omonima, partecipiamo a collaborazioni e festival, organizziamo eventi, lanciamo iniziative. Sono nate amicizie fra noi collaboratori, ci scambiamo opinioni sul mondo dell’editoria e non solo, desideriamo continuare un progetto culturale che ci sembra onesto intellettualmente e stimolante. </div><div style="text-align: justify;">Mercoledì ci sarà il <b>primo grande giro di boa</b>, nascerà il nuovo sito che includerà il blog, la webzine e un’agenzia che offrirà diversi servizi. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">La situazione economica italiana vive una fase complessa, la tentazione per un trentatreenne come me è non di rado di emigrare. Già vissuto in passato, mi dico a giorni alterni, perché non rifarlo? Eppure, per una serie di motivi credo più istintivi che razionali, vorrei provare a creare qualcosa di buono in questo nostro bizzarro paese, nonostante la crisi, nonostante chi dice che qui è tutto uno schifo, nonostante il pessimo esempio di tanti politici, nonostante la demotivazione che spesso si incontra nella gente. Ma da soli e senza capitali è non solo rischioso, direi illusorio. </div><div style="text-align: justify;">Così mi sono detto che l’unica via nel frattempo potesse soltanto essere una: <b>cercare persone intraprendenti e capaci, in modo da valorizzare le loro capacità professionali</b>, in modo da unirle in un canale che nel tempo è divenuto assai visibile. Sono sempre stato dell’idea che c’è chi nasce con la camicia e chi no, chi con un karma leggero e chi con prove immani da affrontare; la mia vera camicia finora è sempre stata quella di incontrare non poche persone che riconoscono nella serietà, nell’impegno e nell’ottimismo valori da condividere. E fra questi coloro che negli anni hanno costruito un percorso nel mondo editoriale di tutto rispetto, impadronendosi di tecniche e competenze. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">L’editoria sta vivendo anni di forti cambiamenti, l’ebook è marginale ancora nel mercato italiano ma nei prossimi anni esploderà, internet sta rivoluzionando un sistema che da decenni era uguale a se stesso. </div><div style="text-align: justify;"><b>Come affrontare tutto questo? Come comprendere quali le direzioni da prendere?</b></div><div style="text-align: justify;">Si parla di book trailer, si discute del futuro dei blog letterari, si affianca sempre più la multimedialità ai libri, si intersecano arti visive con la narrativa, il curriculum vitae sta diventando video-curriculum vitae, solo alcuni esempi, giacché sarebbero numerosi da elencare. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Il <b>blog </b>continuerà il suo impegno di informazione, tentando di stimolare dibattiti sulle novità editoriali e cercando di incuriosire con argomenti inerenti la scrittura e la letteratura. </div><div style="text-align: justify;">La <b>webzine</b> proverà ad approfondire con più ampio respiro, vi sono punti di vista che non possono essere presentati con un breve post. </div><div style="text-align: justify;">L’<b>agenzia</b> entrerà a piè pari in quei forti cambiamenti sopraccitati, convinti come siamo che accanto alle enormi risorse dei grandi gruppi editoriali, vi siano opportunità per le piccole e medie case editrici e per gli scrittori esordienti che faticano a farsi notare. Si tratta di divenire consapevoli dei ponti fra le diverse realtà e degli accorgimenti formali per presentarsi nel miglior modo a chi leggerà gli inediti. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Non solo. </div><div style="text-align: justify;">Vorremmo condividere con voi lettori i “paesaggi” che ci stuzzicano da qualche tempo, e nei prossimi mesi vi coinvolgeremo direttamente permettendovi di segnalare quanto di interessante dal punto di vista letterario accade nel paese, facendovi diventare collaboratori di Sul Romanzo anche se non all’interno della redazione. Perché si tratta di unire conoscenza e qualità, ripeto, conoscenza e qualità. Verrà il momento per parlarne con più calma. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Intanto appuntamento a <b>mercoledì 1 dicembre</b>, vi chiediamo di criticarci, solo così potremo migliorare ulteriormente il progetto, e, se vi garba, parlate di Sul Romanzo ai vostri contatti e compagni di letture. </div><div style="text-align: justify;">Grazie a tutti per il vostro sostegno. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div>Radameshttp://www.blogger.com/profile/05342864890287900616noreply@blogger.com7tag:blogger.com,1999:blog-7979015106414901977.post-12469280357222445652010-11-29T09:39:00.000+01:002010-11-29T09:39:46.457+01:00"Fare scene" di Domenico Starnone<a href="http://2.bp.blogspot.com/_qVrUZu6883U/TOOSCuficPI/AAAAAAAAAFE/4zN2H-tA6yU/s1600/fare%2Bscene.jpg" onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5540432542133547250" src="http://2.bp.blogspot.com/_qVrUZu6883U/TOOSCuficPI/AAAAAAAAAFE/4zN2H-tA6yU/s320/fare%2Bscene.jpg" style="float: right; height: 271px; margin: 0pt 0pt 10px 10px; width: 200px;" /></a><br />
<b>Di Alessandro Puglisi</b> <br />
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<i>"Fare scene", l'ultima opera di Domenico Starnone</i><br />
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<div style="text-align: justify;"><i>Fare scene. </i>Una storia di cinema è l'ultima fatica narrativa di Domenico Starnone, sceneggiatore, scrittore e giornalista; autore di numerosi romanzi, tra cui <i>Denti</i> (1994) da cui Gabriele Salvatores ha tratto un lungometraggio, <i>Via Gemito </i>(premio Strega 2001), e <i>Spavento</i> (2009), Starnone nasce in provincia di Napoli nel 1943 ed in tenera età scopre una smisurata passione per il cinema, la quale non lo abbandonerà più e lo condurrà, anni dopo, all'esercizio del difficile mestiere di sceneggiatore.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">In quest'ambito, <i>Fare scene </i>può essere considerato il resoconto romanzato di una formazione artistica. Come dice lo stesso Starnone: «Questi e altri appunti – tutto quello che c'è in queste pagine fino alla fine – sono stati buttati giù anni fa e dovevano servirmi per un paio di libri che avevo in mente. I libri poi li ho scritti, ma non sono riuscito a utilizzare tutto il materiale preparatorio.» È proprio dalla natura, a tratti frammentaria, del prodotto, che si può partire.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Il romanzo risulta infatti suddiviso, come un film, in due tempi, separati da un breve intervallo. Tuttavia, in questo caso, ognuna delle tre parti, ciascuno dei tre costituenti sembra fare storia a sé; l'articolazione interna mette in evidenza sostanziali differenze, tanto dal punto di vista formale che da quello contenutistico, tali che <i>Fare scene</i> potrebbe quasi considerarsi tre romanzi in uno, o meglio, per restare nell'ambito semantico più appropriato, tre soggetti in uno. Con tutti i problemi del caso, ovviamente. Sarà dunque opportuno considerare i tre momenti come separati, tanto e tale appare il “distacco” di ciascuno in relazione agli altri. Si va dal primo tempo, partecipata rievocazione delle suggestioni del piccolo Domenico, stese a pennellate ampie da un io narrante stretto fra la messa a fuoco dei familiari e i prodromi dell'amore per il mezzo cinematografico. Da un apparecchio casalingo per la proiezione, comprato dal padre di Domenico, uomo a tratti scostante ma in sostanza buono, si schiude agli occhi del futuro sceneggiatore un mondo nuovo, un inatteso “circo delle meraviglie” nel quale movimenti, espressioni, sguardi, posture diventano un nuovo modo di raccontare e raccontarsi.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">L'intervallo è sicuramente, e forse paradossalmente, la parte più riuscita del romanzo: un breve intermezzo che, prendendo le mosse dal tedio insito nella routine della vita di tutti i giorni, si trasforma repentinamente in riflessione non banale sull'ingerenza dei mezzi di comunicazione, sulla comunicazione stessa, nonché sui suoi attori, talvolta buffi pupazzi in preda a un soverchiante dominio dell'immagine.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Nel secondo tempo il bambino è cresciuto, è diventato un narratore, un inventore di storie, un creatore attraverso immagini; l'azione raccontata, in modo peraltro stanco e quasi del tutto privo di mordente, è quella relativa alla travagliata gestazione di una fantomatica pellicola, ispirata ad un fatto realmente accaduto, il suicidio di un operaio; lungometraggio che dovrebbe, almeno nelle buone intenzioni iniziali, mettere in mostra il processo di “perdita della coscienza di classe”. Il narratore, assoldato per scrivere la sceneggiatura del film in collaborazione con l'eccentrico regista, tale Raggalli, attraversa le varie fasi di realizzazione dello script come in una sempre più veloce discesa all'inferno.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Né romanzo di formazione, né saggio, né biografia, né satira sul mondo cinematografico, <i>Fare scene</i> finisce per non assumere nessun carattere in particolare, sospeso in un limbo che lo condanna a orbitare tra i libri che potevano “dare” molto, e invece non danno quasi nulla.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div>Alessandro Puglisihttp://www.blogger.com/profile/11747320671310628622noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7979015106414901977.post-40034712556390003722010-11-29T09:29:00.000+01:002010-11-29T09:29:22.104+01:00La parola del giorno - 19<b>Di Morgan Palmas</b><br />
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<div style="text-align: justify;"><b>Cànfora</b> s. f. Sostanza aromatica cristallina bianca, traslucida, di odore penetrante, solubile in olî e insolubile in acqua, estratta dalle piante<i> canforo</i> e <i>matricale</i> per distillazione del legno del tronco e dei rami in corrente di vapore; viene impiegata per la fabbricazione della celluloide, come antitarmico e, in medicina, come antisettico e cardiocinetico. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">(Ringrazio Maria Florenzio; se anche voi volete proporre una parola desueta ai nostri lettori, scrivete a sulromanzo@libero.it, con Oggetto: parola del giorno).</div>Radameshttp://www.blogger.com/profile/05342864890287900616noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7979015106414901977.post-81238678104298294502010-11-29T09:21:00.002+01:002010-11-29T09:31:55.036+01:00La superficie profonda: un aspetto della comicità<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://1.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TPNiSv02-aI/AAAAAAAACHU/1fnTXEmZQZE/s1600/Sul+Romanzo-didier-bourdon.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://1.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TPNiSv02-aI/AAAAAAAACHU/1fnTXEmZQZE/s1600/Sul+Romanzo-didier-bourdon.jpg" /></a></div><b>Di Paola Paoletti</b> <br />
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<i>La comicità francese: Didier Bourdon</i><br />
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<div style="text-align: justify;">La bionda signora di mezz'età, appariscente e popputa che da due anni gira per il centro di Parigi su un enorme cartellone pubblicitario, è l'attore comico Didier Bourdon.</div><div style="text-align: justify;">Egli è stato uno dei fondatori del quintetto e poi trio comico “Les Inconnus”, che ebbe un grande successo durante tutti gli anni '90. La fortuna per “Les Inconnus” nacque prima in teatro e poi più tardi sullo schermo televisivo, grazie a “La Télé des Inconnus”, un programma comico composto da sketch, da parodie di altre trasmissioni e da falsi reportage.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Didier Bourdon è oggi un attore e un autore molto conosciuto e apprezzato in Francia, tanto che i botteghini teatrali e cinematografici ottengono soddisfacenti introiti con le sue performance.</div><div style="text-align: justify;">In Italia Bourdon è poco popolare; forse qualcuno se lo ricorda nel ruolo di Francis Duftol in “A Good Year” (“Un'ottima annata”)di Ridley Scott, ma probabilmente niente di più.</div><div style="text-align: justify;">E questo anche perché lo spettacolo comico non ha sempre una facile distribuzione internazionale, come invece può averla la commedia brillante. Un certo tipo di comicità è legato ai gusti e agli eventi di un popolo.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Però, lo spettacolo pubblicizzato dall'appariscente Didier Bourdon per le strade di Parigi è “La Cage aux folles” scritto da Jean Poiret nel 1973.</div><div style="text-align: justify;">Si tratta di un lavoro teatrale che, nonostante le alterne vicende e polemiche con la censura, ha sempre avuto un successo di pubblico e di critica. E tale fortuna non è mancata neanche alle sue trasposizioni cinematografiche, quali il film italo-francese “Il vizietto” e il più recente film americano “The Birdcage” (“Piume di struzzo”).</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Didier Bourdon in “La Cage aux folles” interpreta il ruolo di Albin, un omosessuale che gestisce un cabaret insieme al suo compagno Georges. In questo spettacolo vediamo Didier Bourdon alle prese con due travestimenti o meglio due metamorfosi: Albin conduce la sua vita domestica e quotidiana con Georges e la sera diventa una cantante di cabaret, al termine della storia Albin diventerà la “perfetta” madre di Laurent, il figlio di Georges.</div><div style="text-align: justify;">Didier Bourdon riesce a comunicare delle realtà ingombranti portando il pubblico alla risata e comunicandogli il buonumore; riesce inoltre a stare in superficie pur spingendo lo spettatore a ragionare “liberamente” contro le convenzioni. Inoltre, in numerose situazioni riesce ad essere sensuale, senza mai essere volgare.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://1.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TPNk7abBXRI/AAAAAAAACHY/Mc9u-PNp4D0/s1600/Paola+Paoletti.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="175" src="http://1.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TPNk7abBXRI/AAAAAAAACHY/Mc9u-PNp4D0/s200/Paola+Paoletti.jpg" width="200" /></a></div>Nel 2006 è uscito in Francia e in Belgio “Madame Irma”, un film scritto e diretto da Didier Bourdon e Yves Fajnberg.</div><div style="text-align: justify;">“Madame Irma”, che ha vinto meritatamente una serie di premi, narra la storia di un manager, interpretato da Bourdon, che resta senza lavoro e in un momento di disperazione consulta una veggente, la quale involontariamente gli fa nascere l'idea di diventare lui stesso un veggente per poter racimolare un bel po' di denaro.</div><div style="text-align: justify;">Quindi l'ex-manager decide all'insaputa della sua famiglia, di trasformarsi in Madame Irma, una veggente che svolge il suo lavoro su una roulotte.</div><div style="text-align: justify;">Così il manager serioso e panciuto che esce di casa in giacca e cravatta per poi entrare nei panni di una stravagante signora dà adito a divertenti fraintendimenti. I giochi verbali e fisici di Didier Bourdon suscitano ilarità, anche se, il più delle volte, hanno la capacità di ammiccare situazioni sociali e psicologiche ben note a tutti. Madame Irma è un alter ego comico che permette di guardare la vita da un’altra angolatura.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Didier Bourdon con “Madame Irma” ha creato una storia divertente, ben costruita e che sa essere profonda restando sempre in superficie.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div>Radameshttp://www.blogger.com/profile/05342864890287900616noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7979015106414901977.post-64332120817774011072010-11-29T09:06:00.000+01:002010-11-29T09:06:53.010+01:00Note di prosa – 42<b>Di Morgan Palmas</b><br />
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<div style="text-align: justify;">Dalle <i>Massime</i> di Confucio</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Accontentarsi di riso semplice, bere acqua, ed usare il proprio gomito come cuscino; la felicità sta anche qui. Le ricchezze e gli onori acquisiti senza rettitudine sono per me nuvole fluttuanti.</div><div style="text-align: justify;">(7:25)</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Il Maestro disse: «Se uno corregge se stesso, che difficoltà avrà a partecipare al governo? Chi non è in grado di correggere se stesso, come farà a correggere gli altri?». </div><div style="text-align: justify;">(13:13)</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Il Maestro disse: «L’uomo superiore è calmo senza essere arrogante; l’uomo dappoco è arrogante senza essere calmo». </div><div style="text-align: justify;">(13:26)</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Confucio disse: «Vi sono tre tipi di piaceri vantaggiosi e tre tipi di piaceri dannosi. Vantaggioso è godere nel misurarsi nei riti e nella musica, godere nel parlare di ciò che è buono negli altri, godere nell’avere molti amici virtuosi. Svantaggioso è invece godere di piaceri stravaganti, godere di una vita dissoluta e godere di feste e banchetti». </div><div style="text-align: justify;">(16:5)</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Zizhang interrogò Confucio sulla virtù dell’umanità. </div><div style="text-align: justify;">Confucio disse: «L’umanità significa essere in grado di mettere in pratica le cinque grandi virtù nel mondo». </div><div style="text-align: justify;">Zizhang chiese maggiori dettagli. </div><div style="text-align: justify;">Il Maestro disse: «Rispetto, tolleranza, fedeltà, alacrità, e generosità. Se si è rispettosi non si è disprezzati, se si è tolleranti si ottiene il consenso, se si è sinceri si merita la fiducia, se si è alacri si consegue il successo, se si è generosi si è in grado di disporre dei servizi degli altri». </div><div style="text-align: justify;">(17:6)</div><br />
<object height="320" width="400"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/4QfjG9V4-zE?fs=1&hl=it_IT"></param><param name="allowFullScreen" value="true"></param><param name="allowscriptaccess" value="always"></param><embed src="http://www.youtube.com/v/4QfjG9V4-zE?fs=1&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true" width="400" height="320"></embed></object>Radameshttp://www.blogger.com/profile/05342864890287900616noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7979015106414901977.post-89221138934125369122010-11-29T08:48:00.000+01:002010-11-29T08:48:02.542+01:00"Calvin l’invisibile" di Neal Shusterman<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TPNaR50jCdI/AAAAAAAACHQ/EXxhJI-qcY0/s1600/Sul+Romanzo_Calvin+l%25E2%2580%2599invisibile.JPG" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://3.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TPNaR50jCdI/AAAAAAAACHQ/EXxhJI-qcY0/s320/Sul+Romanzo_Calvin+l%25E2%2580%2599invisibile.JPG" width="198" /></a></div><b>Di Stefano Verziaggi</b> <br />
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<i>Letteratura per ragazzi: Calvin l'invisibile</i><br />
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<div style="text-align: justify;">L’ho preso quasi per caso e ora lo sto leggendo per la seconda volta. Ma sarà meglio procedere per ordine.</div><div style="text-align: justify;">Quando il mese scorso sono entrato in libreria, reparto ragazzi, ho provato a cercare le ultime uscite, ma la situazione è un po’ sempre la stessa: ci sarebbe da indagare su questa mia tendenza a sperare che le cose cambino come piacerebbe a me e la (sempre mia) parallela tendenza a rimanere deluso quando verifico che questo non accade mai. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Tra pile di libri cartonati dai prezzi troppo alti e poco proponibili, e forse in alcuni casi non accessibili ai ragazzi anche se molto più fichi, m’è balzato agli occhi il gruppetto dei testi del <i>Battello al vapore</i>: edizioni “economiche” dal prezzo contenuto, che per questo incontrano il mio favore. In realtà non sono un grande fan di questa collana, anche se devo dire che negli ultimi tempi (leggi: anni) mi ha stupito e m’ha fatto ricredere. Ne ho sfogliati un paio e poi ho scelto <i>Calvin l’invisibile</i> di Neal Shusterman: mi piaceva in modo epidermico la trama. Calvin Schwa è un ragazzino invisibile: non nel senso che ha dei superpoteri, nel senso che nessuno lo nota. Il suo cognome, nato da un macabro gioco del destino, richiama chiaramente la lettera schwa dell’alfabeto fonetico internazionale: una lettera muta, che non si sente, ma che pure è fondamentale all’interno della parola (ma lei, lo saprà?). </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Così pure è Calvin; numerosi esperimenti, condotti dai suoi nuovi amici, riveleranno che la maggior parte delle persone non si accorge di lui neppure se indossa un vestito arancione, un sombrero verde e canta un inno patriottico nel bagno dei maschi. In parallelo, anche l’altro protagonista nonché narratore Anthony è un invisibile per la sua famiglia; gioca un ruolo fondamentale perché funge da paciere e da collante e fino a che deciderà di non farsi notare tutto in casa filerà liscio. Il rapporto tra i due protagonisti si incrina quando sulla scena compare Lexie: ma di più non si può dire. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">L’amicizia sembra in effetti uno dei temi chiave del testo; con delicatezza si narra qui del passaggio dalle amicizie dell’infanzia, che si basano sul “fare” delle cose assieme, alle amicizie dell’adolescenza, costruite attorno al “vivere” delle esperienze, magari anche dolorose. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Il romanzo tratta anche di una paura innata di tutti i ragazzi, cioè quella di essere insignificanti e di non essere notati; quella di non riuscire a trovare un proprio ruolo nel mondo che sia autonomo da quello dei genitori e del gruppo di amici. L’ironia del narratore, a volte disarmante, si muove attraverso questi spazi, rivelando un universo per molti versi grottesco in cui le apparenze non sono mai quello che sembrano. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Secondo Nicoletta Gramatieri (<i>Hamelin</i>, 26) è la dinamica buio/luce a svelarci tutto questo: proprio in una notte, all’interno di una macelleria, avverrà il colpo di scena che cambierà il destino di Calvin e lo farà smettere di essere invisibile. Credo sia interessante il tentativo, riuscito, dell’autore di farci riflettere attraverso la risata e la decostruzione del mondo degli adulti: l’occhio del narratore si posa su tutto e ci rivela un mondo di pensieri che, mi pare, noi adulti dubitiamo spesso possa essere tanto profondo. Poveri illusi.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">È proprio questo il testo che ho scelto per l’ora di lettura con i miei ragazzi di seconda media; il giovedì pomeriggio prepariamo l’angolo morbidoso, ognuno si sistema come preferisce e poi io per un’ora leggo. Non ci sono compiti, né interrogazioni, né domande: quello che importa è il piacere per la lettura. Per ora sembrano entusiasti di questo libro, me lo testimoniano le loro sonore risate. E io con loro. Ogni settimana scegliamo se proseguire la lettura e per ora Calvin riscontra il loro favore incondizionato. </div>Radameshttp://www.blogger.com/profile/05342864890287900616noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7979015106414901977.post-60148174045663709932010-11-27T13:23:00.000+01:002010-11-27T13:23:07.165+01:00Cos’è il trash?<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://2.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TPD3p4Z25DI/AAAAAAAACHM/o-1b55kdZ4g/s1600/Sul+Romanzo_pecora.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="213" src="http://2.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TPD3p4Z25DI/AAAAAAAACHM/o-1b55kdZ4g/s320/Sul+Romanzo_pecora.jpg" width="320" /></a></div><b>Di Daniela Nardi</b> <br />
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<div style="text-align: justify;"><i>Il trash e il "guardonismo"</i></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">In genere quando vediamo in TV un programma che urta il nostro gusto personale, magari perché utilizza un linguaggio sboccato o perché i contenuti sono inconsistenti e volgari, oppure quando leggiamo un libro traboccante violenza gratuita o melensa retorica o peggio ancora, quando risulta essere una sbiadita fotocopia di un best seller, invariabilmente bolliamo il prodotto come trash, spazzatura che va eliminata, distrutta o quantomeno ignorata.</div><div style="text-align: justify;">Ma cos’è davvero il trash? Un canone estetico? Un elemento autoreferenziale? Un riflesso della massificazione?</div><div style="text-align: justify;">Secondo Tommaso Labranca (<i>Andy Warhol era un coatto</i>) il trash è “<i>Chi imita e manca il modello, rivelando la distanza rispetto all’originale</i>”; dello stesso parere anche Giacomo Manzoli docente presso il Dams di Bologna e collaboratore de La Repubblica: “<i>Il trash è una riproposizione inconsapevolmente degradata di modelli alti</i>”, mentre per Matteo Bianchi (<i>Generation of love, Apocalisse a domicilio</i>) ci sono due forme di trash: quello inconsapevole (la ragazzina che imita in maniera pacchiana la sua cantante preferita) e quello consapevolmente sentito come una forma di ribellione verso i diktat della cultura imperante.</div><div style="text-align: justify;">In ogni caso il trash è legato a una società fortemente serializzata, incapace di trattenere un modello di diversità senza farlo scivolare nell’amorfa omologazione.</div><div style="text-align: justify;">In sostanza esso viene definito o come simbolo del degrado collettivo oppure di rivincita di modelli popular, una sorta di democratizzazione della cultura e in entrambi i casi si finisce per banalizzare un fenomeno che ha comunque una valenza culturale.</div><div style="text-align: justify;">Anche il trash può infatti considerarsi arte; la degradazione che esso rappresenta, l’esasperata esibizione di forme e linguaggi “estremi”, possono entrare in contatto con la grande arte, quando sia presente una prospettiva critica. Ne abbiamo esempi notevoli con Pier Paolo Pasolini, formidabile narratore di nefandezze e mediocrità del sottoproletariato suburbano, Ettore Scola che col film “Brutti sporchi e cattivi” traccia un quadro desolatamente volgare e violento di chi vive ai margini della società industriale tentando di imitarne (male) i modelli.</div><div style="text-align: justify;">Il “Pulp fiction” di Quentin Tarantino ha dato origine a un genere letterario a cui hanno attinto molti scrittori di nuova generazione, passati poi ad altro, come Niccolò Ammaniti, Aldo Nove, Matteo Galliazzo, ed è appunto un’esibizione estremizzata della violenza che assume risvolti comici, surreali, lontana dalle banalizzazioni che poi ha assunto attraverso imitazioni di genere.</div><div style="text-align: justify;">Il problema nasce quando il trash viene decontestualizzato e proposto come feticcio della società postmoderna, incapace di produrre altro che non sia violenza e volgarità attraverso gli unici strumenti comprensibili, i mass media.</div><div style="text-align: justify;">Giulio Ferroni, docente dell’Università La Sapienza di Roma, parla in tal senso di “anestetizzazione” delle sensazioni: “<i>Ci abituiamo a tutto perché tutto è in qualche modo privo di senso. La stessa violenza - a forza di essere esibita e manifestata - non viene neutralizzata, ma si trasforma in una cosa tra le tante.</i>”</div><div style="text-align: justify;">Assistiamo così a una sorta d’assorbimento passivo da parte di chi fruisce dei media, di “guardonismo”, che permette di passare indenni attraverso forme di violenza fisica e morale in quanto semplici spettatori e che induce, alla lunga, a considerarle normali, ad accettare il mondo così com’è.</div><div style="text-align: justify;">La primordiale funzione “rivoluzionaria” del trash si perde nella sua ripetitività, nell’incapacità di sfuggire alle schematizzazioni, all’omologazione esasperata che azzera l’attenzione delle coscienze. Si può coglierne l’inettitudine tornando alle parole di Giulio Ferroni: "<i>invece di tirar fuori dal nostro sacco tutti gli oggetti da gettare nell'immondizia, bisognerebbe estrarne le cose che ci rendono felici e che ci fanno capire il senso del mondo in cui ci troviamo</i>". </div>Radameshttp://www.blogger.com/profile/05342864890287900616noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7979015106414901977.post-19142895565201639452010-11-26T10:50:00.000+01:002010-11-26T10:50:50.192+01:00Riflessioni su “L’uomo verticale” di Davide Longo<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TO-CRQhmbrI/AAAAAAAACHI/Vvht4xMFvag/s1600/Sul+Romanzo_Andrea+Longo.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://3.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TO-CRQhmbrI/AAAAAAAACHI/Vvht4xMFvag/s320/Sul+Romanzo_Andrea+Longo.jpg" width="222" /></a></div><div style="text-align: justify;"><b>Di Gerardo Perrotta </b></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><i>Il romanzo storicista come forma di tranquillizzazione e alibi culturale</i></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">A differenza di molti recensori del romanzo di Davide Longo, “L’uomo verticale”, più che di scenario post-apocalittico, il riferimento al quale mi appare ingiustificato data l’assenza di un accenno a qualsiasi apocalisse originaria, parlerei di un tentativo di storicizzazione alla Vico: la riproposizione dell’intersecarsi di filogenesi ed ontogenesi come chiave di lettura del dispiegamento e accadere dell’evoluzione dell’umanità.</div><div style="text-align: justify;">Il romanzo si apre nel momento in cui ha inizio un nuovo ciclo dei ricorsi vichiani: l’epoca della “<i>barbarie seconda</i>” in cui “<i>ritornarono certe spezie di giudizi divini, i ladronecci eroici e le schiavitù eroiche</i>”. In Longo sono i falsi miti come Richard, la caccia violenta e brutale, la struttura preistorica della società a ruoli fissi (l’uomo caccia, la donna aspetta, i bimbi si auto-allevano), la tribù che prevale sul singolo, i riti di iniziazione e di appartenenza, gli stupri collettivi, il sesso solo come accoppiamento, il corpo dei vinti come feticcio di vittoria, il padre che sopravvive ai danni del figlio, l’accettazione passiva della violenza come strategia di sopravvivenza, il baratto dei corpi femminili, la strage dei cani per liberarsene o cibarsene.</div><div style="text-align: justify;">Il romanzo si chiude, invece, nel momento di passaggio dalla barbarie alla seconda tappa della filogenesi vichiana: società agricole, popoli pacifici, forme di baratto come strumento di conoscenza, l’animale da compagnia che riacquista il proprio status, una forma di religione primitiva basata sulle parabole, il riconoscimento del ruolo della donna-madre, il ringraziamento alla Luna, elemento femminino e dea della fertilità, per il dono di una nuova nascita. </div><div style="text-align: justify;">Nel passaggio tra le due epoche, zona di interregno narrativo, c’è il movimento di ontogenesi esemplificato da Leonardo che dapprima non sembra realizzare fino in fondo ciò che accade intorno a lui (“<i>sente senza avvertire</i>”), come se ne avesse solo un vago sentore, poi inizia a guardarsi intorno avanzando prime ipotesi mitologiche di spiegazione (<i>Richard è Cristo o fa di tutto per assomigliargli</i>) “<i>con animo perturbato e commosso</i>”, fino al momento in cui, dopo aver riflettuto con “<i>mente pura</i>”, decide di agire.</div><div style="text-align: justify;">Cosa resta a testimoniare l’epoca precedente? Il bisogno della benzina, le macchine inutilizzate e le pale eoliche, reperti archeologici della nostra epoca, svuotati di funzione e in cerca di nuovo significato. Sembrano gli unici elementi di contatto tra il mondo della civiltà e quello della barbarie; anzi sono l’unico ricordo della civiltà precedente. Ma il futuro non è già in nuce nel passato? </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">In sostanza, Longo ha messo in prosa una versione banalizzata della Scienza Nuova trasferendo, novello paragnosta storicista, l’elemento perturbante in un’altra epoca, la prossima, proposta come ineluttabile perché insita nel processo storico e non conseguenza di atti scellerati commessi quotidianamente. Elementi di filosofia della storia vengono utilizzati per delineare uno scenario futuro, portando a compimento il disegno dello storicismo vichiano, previa opportuna “<i>ingenuitizzazione</i>”. Ma mancano lo scatto nuovo, l’impeto furioso, il piglio da scrittore onesto e perturbante. L’atmosfera è timidamente inquietante proprio per questo rintanarsi dell’autore nello storicismo come strategia per lasciare la speranza che il percorso dell’umanità sia destinato, comunque, ad un ritorno all’età dell’oro, in virtù della ciclicità ontologica che ne contraddistingue il ricorrere. La nave dei portatori di doni è incontro mitologico di civiltà, il nuovo inizio, la nuova rinascita, il ritorno al bene e al bello.</div><div style="text-align: justify;">L’happy end è forma di messaggio tranquillizzante che regala il sospiro di sollievo per il pericolo scampato. Ma, oggi, la speranza ingenua ha ancora ragione d’essere?</div><div style="text-align: justify;">Longo non è Cassandra; non ha il coraggio di dire sempre la verità pur sapendo di andare incontro a derisione ed incredulità, respingimento e repulsione, il solito armamentario che la folla responsabilizzata mette in scena per difendersi, emarginare il profeta e ri-acquietarsi.</div><div style="text-align: justify;">Quello che Longo non ha, o non vuole avere, è la consapevolezza post-nietzschiana, dello storicismo come forma di tranquillizzazione per nascondimento della natura umana che, invece, procede attraverso forme di sublimazione della propria malvagità.</div><div style="text-align: justify;">Le forme di inciviltà, proiettate dall’autore in un futuro fantascientifico, sono, invece, presenti già, <i>hic et nunc</i>, in una forma plissettata, patinata, addolcita, televisiva.</div><div style="text-align: justify;">Longo preferisce ignorarlo per liberarci dall’incubo di essere già in una eterna barbarie che si perfeziona in forme sempre più evolute ed accettabili dall’opinione pubblica: l’immigrato non viene più ucciso direttamente, ma viene lasciato in mare, così risulterà morto per cause naturali o per scelleratezza sua o altrui, mai nostra. Oggi i cani non sono uccisi, ma abbandonati sull’autostrada: forma civilizzata di omicidio, esautorato di qualunque responsabilità; oggi la donna è corpo televisivo: forma di baratto edulcorato e sofisticato. </div><div style="text-align: justify;">Ad un’analisi della barbarie odierna, quotidiana, normalizzata perché ormai assuefacente, Longo preferisce l’analisi di una barbarie altra in un mondo diverso, derivato dal nostro ma per concatenazione temporale e naturale, non per conseguenza morale, ponendosi fuori dall’oggi per rifuggire implicazioni etiche sulle ragioni per cui l’umanità sta spingendosi verso la barbarie della civiltà o, meglio, verso la civiltà della barbarie. I dilemmi etici proposti nel romanzo sono a dir poco antiquati, macchiettistici, catechistici: da che parte starei? Chi sono i buoni e chi sono i cattivi in una situazione così estrema? E, in questo caso, nemmeno l’interpretazione in chiave “post-apocalittica” può contribuire a dare dignità civile ed etica al romanzo di Longo: è davvero necessario un macro-evento nefasto perché l’umanità disveli la sua barbarie? Questa non è connaturata all’uomo, anche a quello più “civilizzato”? Ma, in definitiva, esiste davvero un evento che possa far emergere la malvagità umana, la sua violenza, come fenomeni fino a quel momento inediti? Io temo, invece, che questi siano inediti solo per chi non voglia vederli o voglia, in mala fede, nasconderli a se stesso e ai propri lettori. Consiglierei, in questo senso, la lettura del “Signore delle mosche” (1952-1954) di William Golding, esempio egregio di come i processi vichiani possano coniugarsi con una riflessione onesta sulla natura umana in una dimensione di feroce antropologia.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">È molto triste l’epoca in cui lo storicismo entra nella struttura del romanzo come paradigma di analisi sociologica ed antropologica, come strumento di speranza e tranquillizzazione rispetto all’oggi, presentato come un momento necessario del cammino storico. E se il progresso, invece, non fosse altro che una civilizzazione della barbarie, un suo costante perfezionamento in forme sempre più velate di finta civiltà?</div>Radameshttp://www.blogger.com/profile/05342864890287900616noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7979015106414901977.post-22390342300028953712010-11-26T10:22:00.000+01:002010-11-26T10:22:48.271+01:00La parola del giorno - 18<div style="text-align: justify;"><b>Di Morgan Palmas</b></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><b>Pervicàcia </b>s. f. (pl. <i>-cie</i>) Ostinazione cieca, accanita. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">(Ringrazio Paturnia Ship; se anche voi volete proporre una parola desueta ai nostri lettori, scrivete a sulromanzo@libero.it, con Oggetto: parola del giorno).</div>Radameshttp://www.blogger.com/profile/05342864890287900616noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7979015106414901977.post-90067709307486227872010-11-26T10:10:00.001+01:002010-11-26T10:17:57.783+01:00Intervista a Roberta Andressi<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://4.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TO94-h41JXI/AAAAAAAACHA/b9My0JugZMM/s1600/Copertina_solo_fronte_300dpi.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://4.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TO94-h41JXI/AAAAAAAACHA/b9My0JugZMM/s320/Copertina_solo_fronte_300dpi.jpg" width="228" /></a></div><b>Di Morgan Palmas</b> <br />
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<i>Un incontro con Roberta Andressi</i><br />
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<div style="text-align: justify;"><b>Buongiorno, vorrei iniziare chiedendole a quale età si è avvicinata alla scrittura e se è stato o meno un caso fortuito. </b></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">La mia prima bozza di libro è nata a 19 anni e, malgrado abbia ancora quei fogli, l’ho abbandonata ben presto. In quel periodo ho scritto invece molte poesie. Mi facevo influenzare da Jacques Prévert e Pablo Neruda. Insomma, avevo sempre la testa tra le nuvole e il cuore in qualche relazione più o meno assurda tipica dell’età. Crescendo ho preso altre strade, come l’incisione, il disegno e infine la Naturopatia che mi ha dato la possibilità di fare un lavoro appassionante. Un giorno, in un’erboristeria, ho sentito una mamma dire che la sera precedente aveva dato a sua figlia una minestrina con la salsiccia perché non stava molto bene. Non volevo credere alle mie orecchie. Mi sono domandata: ‘Chissà che cosa le propina quando non è malata!’ e un brivido di terrore ha percorso la mia schiena. Ho deciso così di scrivere il libro di racconti per bambini riguardante l’alimentazione che potesse interessare anche i genitori poiché spiego, in un capitolo dedicato a loro, di cosa sono composti gli alimenti. Non contenta, l’ho anche illustrato. Poi presa dalla passione, ho scritto un altro libro per ragazzi ed ora sto scrivendo un libro di cucina.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><b>Se consideriamo come estremi l’istinto creativo e la razionalità consapevole, lei collocherebbe il suo modo di produrre scrittura a quale distanza dai due? </b></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Tendenzialmente è creatività allo stato puro, però dipende da cosa scrivo. A volte la razionalità va di pari passo alla creatività, a volte la fantasia prende il sopravvento e la razionalità mi serve in un secondo tempo per effettuare un editing severo e rigoroso.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><b>Moravia, cascasse il mondo, era solito scrivere tutte le mattine, come descriverebbe invece il suo stile? Ha un metodo rigido da rispettare o attende nel caos della vita un’ispirazione? Ce ne parli.</b></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Non avendo fatto della scrittura la mia professione, non ho un momento preciso in cui scrivo. Il tutto nasce sempre da un’idea che piano piano prende corpo, o da una frase che sento o da un evento mentre faccio altro. Mi si accende una lampadina, cerco un foglio in cui abbozzare qualcosa e appena posso, accendo il computer e via! Come disse qualcuno: verso l’infinito e oltre!</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><b>Di che cosa non può fare a meno mentre si accinge alla scrittura? Ha qualche curiosità o aneddoto da raccontarci a riguardo? </b></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Quando finalmente ho il tempo di scrivere, il tutto diventa un rito: accendo il computer, bevo una tisana, mangio un biscotto, leggo quello che ho scritto fino a quel momento e poi mi lascio trasportare dalla fantasia.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><b>Wilde si inchinò di fronte alla tomba di Keats a Roma, Marinetti desiderava “sputare” sull’altare dell’arte, qual è il suo rapporto con i grandi scrittori del passato? È cambiata nel tempo tale relazione? </b></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Non sputo davanti a nessuno, nutro grande rispetto per chiunque abbia il coraggio e la forza di seguire i propri sogni. I grandi scrittori mi emozionano, mi emoziona Tolstoj perché so che mi porterà via e mi farà vivere tempi e luoghi a me sconosciuti. Mi emoziona Hemingway, mi emoziona leggere alcune vostre recensioni, perché so che leggendo certi libri mi sentirò davvero bene. In effetti, pensandoci bene sono una persona emotiva!</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><b>L’avvento delle nuove tecnologie ha mutato i vecchi schemi di confronto fra centro e periferia, nonostante ciò esistono ancora luoghi italiani dove la letteratura e gli scrittori si concentrano? Un tempo c’erano Firenze o Venezia, Roma o Torino, qual è la sua idea in merito? </b></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Credo che Internet sia la vera rivoluzione in tutti i sensi, avvicina culture, pensieri, scrittori, artisti, avvicina il mondo. Fortunatamente vivo a Milano e di sicuro questa città, Roma e Venezia sono un concentrato di arte e di cultura.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><b>Scrivere le ha migliorato o peggiorato il percorso di vita? In altre parole, crede che la letteratura le abbia fornito strumenti migliori per portare in atto i suoi desideri?</b></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Ha migliorato notevolmente la qualità della mia vita. Oramai non posso più farne a meno. Mi piace tantissimo scrivere come mi piace tantissimo disegnare e dipingere. Niente mi rende più felice che creare, la mia anima esulta, i miei occhi si illuminano, mi si stampa in faccia un sorriso smagliante. In quei momenti mio figlio mi guarda perplesso, poi mi sorride, mi stropiccia i capelli e se ne va via. Il mio compagno mi guarda confuso e quasi intimorito si dilegua per poi tornare e fare il tifo per me. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><b>La ringrazio e buona scrittura. </b></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Grazie a te.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><b>Roberta Andressi </b>è nata a Milano nel 1965. Dopo il diploma ha frequentato la Scuola Superiore di Arte del Castello Sforzesco di Milano. Nel 1992 ha iniziato a lavorare come rappresentante presso alcune delle aziende di terapie naturali più rinomate d’Europa. In seguito ha frequentato corsi di Naturopatia e Iridologia. Attualmente lavora come consulente presso alcune erboristerie della Lombardia. Ha recentemente vinto un concorso letterario di scrittura per bambini con Murenaletteraria. Ha da poco pubblicato il primo libro “Il mondo appetitoso di Azzurra” edito da Kaba Edizioni.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div>Radameshttp://www.blogger.com/profile/05342864890287900616noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7979015106414901977.post-15036367127380300932010-11-26T09:53:00.000+01:002010-11-26T09:53:10.538+01:00Note di prosa - 41<b>Di Anna Costalonga</b><br />
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<div style="text-align: center;">"Colloquio Sentimentale" di Paul Verlaine</div><div style="text-align: center;"><br />
</div><div style="text-align: center;">Nel vecchio parco gelido e deserto</div><div style="text-align: center;">sono appena passate due forme.</div><div style="text-align: center;"><br />
</div><div style="text-align: center;">Hanno occhi morti, e labbra molli,</div><div style="text-align: center;">e le loro parole si odono a stento.</div><div style="text-align: center;"><br />
</div><div style="text-align: center;">Nel vecchio parco gelido e deserto</div><div style="text-align: center;">due spettri hanno evocato il passato.</div><div style="text-align: center;"><br />
</div><div style="text-align: center;">- Ricordi la nostra estasi d'allora?</div><div style="text-align: center;">- E perché vuoi che la ricordi?</div><div style="text-align: center;"><br />
</div><div style="text-align: center;">- Batte ancora il tuo cuore solo a udire il mio nome?</div><div style="text-align: center;">Ancora vedi in sogno la mia anima? - No.</div><div style="text-align: center;"><br />
</div><div style="text-align: center;">- Ah, i bei giorni d'indicibile felicità</div><div style="text-align: center;">quando univamo le nostre bocche! - Può darsi.</div><div style="text-align: center;"><br />
</div><div style="text-align: center;">- Com'era azzurro il cielo, e grande la speranza!</div><div style="text-align: center;">- Vinta, fuggì la speranza, nel cielo nero.</div><div style="text-align: center;"><br />
</div><div style="text-align: center;">Andavano così tra l'avena selvatica,</div><div style="text-align: center;">e le loro parole le udì solo la notte.</div><br />
<object height="320" width="400"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/beY5Ii-ROJM?fs=1&hl=it_IT"></param><param name="allowFullScreen" value="true"></param><param name="allowscriptaccess" value="always"></param><embed src="http://www.youtube.com/v/beY5Ii-ROJM?fs=1&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true" width="400" height="320"></embed></object>Radameshttp://www.blogger.com/profile/05342864890287900616noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7979015106414901977.post-76728619677222581572010-11-26T09:48:00.000+01:002010-11-26T09:48:03.166+01:00“La fine del mondo storto” di Mauro Corona<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://4.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TO9zgNGHawI/AAAAAAAACG8/KC-wEdGfZ00/s1600/Sul+Romanzo_La+fine+del+mondo+storto_Mauro+Corona.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://4.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TO9zgNGHawI/AAAAAAAACG8/KC-wEdGfZ00/s320/Sul+Romanzo_La+fine+del+mondo+storto_Mauro+Corona.jpg" width="205" /></a></div><b>Di Barbara Greggio</b> <br />
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<div style="text-align: justify;"><i>“La fine del mondo storto” di Mauro Corona (Ed. Mondadori)</i></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><i>Mettiamo che un giorno il mondo si sveglia e scopre che sono finiti petrolio, carbone ed energia elettrica. (…) “Sacramento che disgrazia!”… “Non sappiamo usare le mani.”</i></div><div style="text-align: justify;">Ai tempi delle vacche obese ognuno pensava per sé, non esisteva collaborazione né rispetto. Ci si azzuffava per un nonnulla, si accumulavano ricchezze a discapito di onestà e buon senso. Poi una mattina tutto finisce. La tecnologia – idolatrata – regna su un mondo silenzioso e buio. I lampioni non illuminano più le strade, dai termosifoni non si alza calore, i motori si fermano. È la fine del mondo storto. Gli uomini iniziano a morire come mosche, almeno due terzi della popolazione mondiale non arriveranno alla primavera successiva. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">L’inverno della morte bianca e nera, della paura e del terrore, miete vittime soprattutto tra i malati, i cagionevoli di salute, gli anziani e i bambini. I mestieri ammirati ai tempi d’oro dell’umanità non servono a nulla ora che l’energia elettrica non pompa luce e le pance sono vuote. I sopravissuti migrano verso le montagne, dove c’è legna in abbondanza. In città si brucia tutto, mobili, libri, quadri, i soldi (ma quelli bruciano poco e non scaldano). Fa freddo e la fame attanaglia le menti. <i>E così quell’inverno sono dieci inverni accatastati uno sull’altro</i>. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Chi sopravvive non si arrende, torna ad essere umile, va in campagna in cerca di contadini. I contadini sanno ancora usare le mani, mungono gli animali, sanno cavare cibo dalla terra. Così come i montanari, che cacciano uccelli e colgono erbe medicinali. Tornano in auge marchingegni arcaici per catturare animali nei boschi, i fucili sono solo ferro da buttare ora che nessuno produce più le munizioni. <i>Nelle città c’è un silenzio che intorce le budella</i>. Non si litiga, né si parla a vanvera, si pensa solo a non morire. L’inverno della paura fa riavvicinare le persone, ci si unisce per arrivare al giorno dopo, nella speranza che il freddo se ne vada e torni il sole a scaldare le ossa magre. Chi non muore non si ammala più, fortificato dalla fame e dai sacrifici. <i>In quelle condizioni, i rimasti in piedi son diventati saggi.</i> La natura è venerata, rispettata, amata. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Agli albori della primavera si torna pian piano a sorridere, il verde invade le città, ogni pezzo di terra viene messo a coltivazione. Frutta, verzure, latte, farina, formaggi. L’uomo non muore più di fame. <i>I giorni sono diventati meno duri, la speranza torna a consolidarsi, la vita mette i piedi sulla testa della morte.</i> Saggezza e prudenza conducono gli uomini verso una nuova era, in un mondo depurato dalle ingiustizie e dalle frustrazioni. Si torna a parlare, nelle notti d’estate, attorno ad un fuoco. Si aguzza l’ingegno, ci si scambiano consigli. Non esistono padroni, né sudditi. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">In montagna, per ogni albero tagliato se ne piantano altri dieci, si pensa al futuro, non si spreca nulla e tutto viene equamente diviso. <i>Senza rendersene conto, stanno creando una società perfetta, dove non ci sono gerarchie né subordinati .</i> Il mondo forse ha davvero imparato la lezione, si è pulito ed è pronto ad andare avanti. Ma l’uomo ha in sé il germe della discordia, un’insoddisfazione latente che, a pancia piena, risale a galla. Tornano i primi ladri, e con loro gli assassini. <i>Non c’è niente da fare, l’uomo è un cane che si mangia la coda. </i>Gira in cerchio fino a consumarsi. In questo suo nuovo romanzo Mauro Corona è come vento di montagna, tagliente e disincantato. </div>Radameshttp://www.blogger.com/profile/05342864890287900616noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7979015106414901977.post-29703410217218280232010-11-25T11:50:00.000+01:002010-11-25T11:50:00.758+01:00“Regole di famiglia” di Matteo Sartori<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://2.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TO4-7kcDx6I/AAAAAAAACG4/AwbEzVzTz3k/s1600/Sul+Romanzo_regole-di-famiglia.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://2.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TO4-7kcDx6I/AAAAAAAACG4/AwbEzVzTz3k/s320/Sul+Romanzo_regole-di-famiglia.jpg" width="210" /></a></div><b>Di Valentina Malcotti</b> <br />
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<div style="text-align: justify;"><i>Ritratto di famiglia con bonus tracks</i></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">I Keller di Sartori come gli Ardengo di Moravia. La famiglia quale somma delle singole infelicità, gabbia dorata di egoismi e insicurezze. Vicinanza fisica tradotta in abissali distanze emotive. Abbiamo forse abusato dello spunto di Anna Karenina ma è pur vero che ogni famiglia (letteraria e non) disegna la propria, distinta infelicità.</div><div style="text-align: justify;">Quello dei lombardissimi coniugi Franco e Carla Keller è uno sconforto esistenziale condito da ville sul lago, baronati, salotti brianzoli, militanze posticce, citazioni colte e battute pronte. Il tutto affogato in liquori, nel ricordo di una sorella morta di dolore, in giovani amanti o antiche glorie partigiane. A far loro da scomodo specchio tre figli e le loro rispettive crisi d'identità.</div><div style="text-align: justify;">Matteo Sartori – che in quel decennio era appena nato – racconta gli anni Settanta di una dinastia benestante e cosmopolita in cui, però, "le letture e i lini, i viaggi e gli impegni, il sarcasmo e la pietà non avevano sanato le piccole inadeguatezze ancestrali". </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">É attraverso il più giovane dei figli, il diciottenne Pietro, che Sartori tratteggia gli intensi e dissacranti ritratti di famiglia. Il "furore giacobino" della mamma Carla (smarrita come la Carla di Moravia), sospesa tra l'etichetta e un patetico mal di vivere; l'eccentricità autodistruttiva di Sara che finirà a viversi addosso, schiava della droga. Eugenio, l'arrivista che rifugge la ponderazione immobile della casa paterna in nome di una carriera sotto i riflettori. Sono apatiche fucilate per l'idealista Pietro che troverà un debole faro nello zio Giovanni, scapolo e giramondo, osservandolo chiudere per sempre gli occhi, sornione, su un mondo in cui, lo spiega bene Sartori, "gli uomini arrivano sempre prima delle idee", in cui l’ego anticipa la causa. </div><div style="text-align: justify;">Sullo sfondo, Visconti (l’angosciante declino di una famiglia nel suo citato <i>La caduta degli dei</i> fa il verso all'implosione dei Keller stessi), gli eroi della Formula 1 e una Milano violenta.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">A fare la differenza in questa ennesima saga familiare che indaga un'Italia avente, in nuce, il Paese di oggi, è la scrittura di Sartori, alla sua seconda prova dopo <i>Il magro Rio e la minoranza silenziosa </i>(Frassinelli, 1997). Elegante e caustico, sofisticato e pungente. Il suo sarà anche un esercizio di stile ma, caspita, come gli riesce bene. Da una subordinata esce un profilo esistenziale, con un modo di camminare presenta un destino. Sartori ti fulmina con aggettivi pomposi ma sagaci, spezzando il dilagante lessico standardizzato. </div><div style="text-align: justify;">Un anticonformismo che ben si è sposato con la Isbn Edizioni, trend setter nello sviluppo di un'editoria rivolta – nelle parole del suo fondatore, Massimo Coppola – “a una nuova generazione di lettori, la cui concezione di oggetto culturale è più ampia e complessa”. Per intenderci, l’Isbn è la casa editrice degli Antimeridiani (Bianciardi e Del Buono, per ora), con un catalogo di romanzi e saggi rigorosamente sopra le righe. É sufficiente fare un salto sul loro sito (<a href="http://www.isbnedizioni/">www.isbnedizioni</a>) per rendersi conto di un’innovativa concezione del romanzo come piattaforma interattiva. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Nel link dedicato a Regole di famiglia, ad esempio, si trovano "contenuti speciali" non presenti nel cartaceo: dalle schede di presentazione dei protagonisti, alla sezione “Impressioni in video”, in cui Sartori riunisce brevi estratti di You Tube riguardanti personaggi, fatti e canzoni citati nel romanzo o ispiratori dello stesso. </div><div style="text-align: justify;">Sull'onda del consolidato booktrailer, prendono vita nuovi linguaggi multimediali pronti a farcire la pagina stampata e a imbastire un viaggio polisensoriale che può fare dei Keller una famiglia in carta e ossa.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div>Radameshttp://www.blogger.com/profile/05342864890287900616noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7979015106414901977.post-17028288272750065702010-11-25T11:21:00.000+01:002010-11-25T11:21:35.043+01:00La parola del giorno - 17<div style="text-align: justify;"><b>Di Morgan Palmas</b></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><b>Stondare</b> v. tr. (<i>stóndo</i>, ecc.) <i>non com.</i> Scavare, ridurre in modo da ottenere una forma o un profilo rotondeggiante: <i>s. la scollatura di un abito</i>. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">(Ringrazio <a href="http://twitter.com/#%21/Emmapretti">Emma Pretti</a>; se anche voi volete proporre una parola desueta ai nostri lettori, scrivete a sulromanzo@libero.it, con Oggetto: parola del giorno).</div>Radameshttp://www.blogger.com/profile/05342864890287900616noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7979015106414901977.post-26005703297748048962010-11-25T10:45:00.000+01:002010-11-25T10:45:51.979+01:00“I fiori d’acciaio della letteratura”: scrittrici ma soprattutto donne<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://2.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TO4vOh5z2TI/AAAAAAAACGw/VyoMkr0NTyw/s1600/Sul+Romanzo_deledda.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://2.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TO4vOh5z2TI/AAAAAAAACGw/VyoMkr0NTyw/s1600/Sul+Romanzo_deledda.jpg" /></a></div><b>Di Daniela Nardi</b> <br />
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<i>Donne, scrittura e letteratura</i><br />
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<div style="text-align: justify;">Ho volutamente citato nel titolo il film di Herbert Ross, Fiori d’Acciaio, perché ritengo che sottolinei senza enfatizzarla la capacità delle donne, considerate nell’immaginario popolare creature fragili, anche un tantino superficiali quando non noiosette, di emergere nel mondo letterario dominato dalla figura maschile, soprattutto nel XIX secolo. Donne diventate famose come Mary Shelley (<i>Frankenstein</i>) o le sorelle Brontё (<i>Jane Eyre, Cime tempestose</i>) o anche Jane Austin (<i>Orgoglio e Pregiudizio</i>), Aurore Dupin alias George Sand, che hanno affrontato di petto i pregiudizi, scandalizzando per la loro determinazione e le loro idee fuori dai canoni borghesi dell’epoca che le volevano all’ombra dei propri mariti, ai margini di quel club per soli uomini che era la cultura “scritta”, al massimo ispiratrici di lavori letterari.</div><div style="text-align: justify;">Sarebbe però lungo e laborioso parlare di tutte le scrittrici del panorama mondiale. Mi limiterò in questa sede a raccontare di quelle italiane conosciute ma soprattutto le misconosciute donne di cultura che hanno spesso un vissuto doloroso e segnato da drammi, testimoni della durezza del vivere per queste valide letterate.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Eleonora de Fonseca Pimentel, donna di finissima cultura e apprezzata poetessa che durante la brevissima Repubblica napoletana del 1799 fondò e tenne vivo un giornale “Il Monitore napoletano” definito da Benedetto Croce: “<i>Non distrazioni, non discorsi di letteratura o astratte discettazioni. Il Monitore va rapido e diritto, tutto assorto nelle questioni essenziali ed esistenziali che si affollarono in quei pochi mesi</i>”. Tornati i Borboni, fu impiccata tra gli insulti del popolo il 20 agosto dello stesso anno. Altra donna famosa, più conosciuta per essere stata fondatrice delle crocerossine piuttosto che per la sua abilità letteraria è Cristina Trivulzio di Belgioioso, anch’essa legata a vicende rivoluzionarie di epoca più recente, saggista esperta e acuta (<i>Sulla formazione del dogma cattolico, Sulla moderna politica internazionale, Sulla condizione femminile</i>), fondatrice e redattrice di numerosi giornali (La Gazzetta, Il Nazionale, L’Ausonio, Il Crociato) nei quali con arguzia e pragmatismo illustrava la situazione politica dell’Italia, giornalista ante litteram coi suoi reportage dall’oriente, nei quali offre un affresco realistico e ragionato di luoghi a quel tempo considerati misteriosi e quasi barbari. Una donna dalla vita movimentata e discussa (si narra che sua figlia fosse illegittima, che avesse avuto numerosi amori, che fosse l’amante di George Sand, di Thierry, di Mignet, perfino di Bellini che lanciò nei suoi famosi <i>saloons</i>) ricordata proprio in virtù di queste dicerie e non per il coraggio di vivere la sua vita al di fuori dei canoni conservatori e perbenisti che l’avrebbero voluta sposa remissiva o tuttalpiù icona vuota del bel mondo.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Ancora Matilde Serao, fondatrice insieme al marito Edoardo Scarfoglio del Mattino di Napoli, per troppo tempo rimasta all’ombra di questo poeta e scrittore, condividendone i sogni, spesso con coraggio risolvendone i problemi (alleverà come sua la figlia di una delle amanti del marito). Traduttrice esperta e accurata, saggista, soprattutto giornalista; si occupa di attualità, cultura, politica, i suoi reportage su Napoli sono di una vividezza ancora attuale.</div><div style="text-align: justify;">Grazia Deledda è l’eccezione che conferma la regola: vince il Nobel per la letteratura, ma è appunto, un’eccezione.</div><div style="text-align: justify;">Altre donne hanno saputo dimostrare la loro capacità di trasformare i pensieri in qualcosa di concretamente immanente, ma spesso sono ricordate per essere state amiche, ispiratrici, mogli o amanti di esponenti maschili della cultura. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">È il caso di Elsa Morante (Premio Strega 1957 col romanzo <i>L’Isola di Arturo</i>) famosa per essere stata moglie di Moravia, o Natalia Ginzburg (altro Premio Strega 1963 con <i>Lessico Famigliare</i>, fine traduttrice di Marcel Proust); chissà perché tutte le antologie e perfino la prefazione del libro sottolineano che è stata moglie di Leone Ginzburg esponente della cultura italiana del novecento. </div><div style="text-align: justify;">Autrici che si sono affermate per le loro qualità, per scelte stilistiche che hanno reso la narrazione letteraria concreta e viva senza snaturare la loro essenza femminile.</div><div style="text-align: justify;">Donne fortunate perché sono emerse e hanno mantenuto nella memoria a venire un loro ruolo, ma ci sono tante scrittrici che sono finite ingiustamente nell’oblio, ricordate magari solo nel registro di qualche biblioteca.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Anch’esse menzionate più per i matrimoni “famosi” che non per le opere scritte, sono modernissime nel contenuto, perfino coraggiose, non temendo il giudizio bigotto e conservatore dell’epoca e affrontando temi “scabrosi”, come Paola Digo che col romanzo <i>Maria Zef</i> affronta l’argomento delle molestie sessuali di uno zio sulla nipote o come Amalia Guglielminetti amante di Piovene e Pitigrilli, ma anche e soprattutto autrice de <i>La rivincita del maschio</i> uscito nel lontano 1923, nel quale un maschio sadico e perverso viene ucciso dalla sua amante lesbica e <i>Vergini Folli</i> (1907) col quale si candidò come portabandiera dell’avanguardia femminile del novecento o ancora Marise Ferro, giornalista, traduttrice, saggista, moglie di Guido Piovene e Carlo Bo, vissuta sempre all’ombra dei due mariti e Paola Masino che, sfidando le convenzioni dell’epoca (siamo nel 1938), appena ventenne va a convivere col suo grande amore Massimo Bontempelli, assistendolo amorevolmente fino alla morte, al punto di sacrificare il proprio talento.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Altre autrici coraggiose, forti, determinate: Vittoria Aganoor, definita da Giacomo Zanella “<i>ingegno virile e cuore di donna</i>”, Gualberta Alaide Beccari anticipatrice delle istanze femministe e fondatrice della rivista <i>Donna</i>, Gemma Ferruggia che seguì il marito in Amazzonia e dalla cui esperienza trasse il libro <i>Nostra Signora del Mar dolce</i>, Neera i cui romanzi <i>Battaglie per un’idea</i> e <i>Anima sola</i> furono tradotti in varie lingue, Regina di Luanto alias Anna Guendalina Lipperini, autrice di molti libri che faranno scandalo come <i>Salamandra, Libera, Un Martirio, La servetta</i>, nei quali si affrontano temi difficili come il rapporto tra i sessi con un linguaggio sorprendentemente moderno tanto che la rivista l’<i>Almanacco italiano</i> sostiene che “<i>ama analizzare tutte le umane passioni, tutti i pervertimenti senza curarsi degli strilli che strapperà a tutti i lettori timorati.</i>” (A.Ronco <i>L’Avanguardia delle scrittrici italiane cent’anni fa</i>).</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Coraggio, passione, forza. Ancora oggi le autrici devono dimostrare di saper far meglio, in un mondo proteso verso la mercificazione della letteratura, dove conta l’apparenza, l’essere personaggio più che persona, stupire più che raccontare. Le donne scrittrici, di cent’anni fa come quelle moderne, non sussurrano le loro storie, non ammiccano maliziose, non si lasciano tentare da scorciatoie futili e superficiali. Alzano la voce, a volte con garbo o con ironia, spesso con la drammatica consapevolezza che il vivere comporta fatica, determinazione, lotta. È un continuo divenire tra generazioni, tra donne di quei paesi che in qualche modo oggi vedono riconosciute le loro istanze e quelle che nei loro sono ancora condannate all’invisibilità, a una condizione di odiosa subordinazione.</div><div style="text-align: justify;">La forza di tutte queste voci, il coraggio di andare oltre l’orizzonte piatto delle convenzioni è dunque un valore aggiunto alla letteratura, restituendole dignità e funzione culturale.</div>Radameshttp://www.blogger.com/profile/05342864890287900616noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-7979015106414901977.post-5502628638601482982010-11-25T10:23:00.000+01:002010-11-25T10:23:10.396+01:00Note di prosa - 40<b>Di Morgan Palmas</b><br />
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<div style="text-align: justify;">Da “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Il farmacista aveva poi invitato i musicisti a cena e aveva chiesto all’ascoltatrice sconosciuta di unirsi a loro. Da allora Beethoven era diventato per lei l’immagine del mondo dall’altra parte, del mondo che lei agognava. Mentre portava dal bancone il cognac per Tomáš, cercava di leggere in quella coincidenza: com’era possibile che, proprio mentre stava portando un cognac a quell’uomo sconosciuto che le piaceva, sentisse Beethoven?</div><div style="text-align: justify;">Non certo la necessità, bensì il caso è pieno di magia. Se l’amore deve essere indimenticabile, fin dal primo istante devono posarsi su di esso le coincidenze, come gli uccelli sulle spalle di Francesco d’Assisi. </div><br />
<object height="320" width="400"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/KosCjMJG5ks?fs=1&hl=it_IT"></param><param name="allowFullScreen" value="true"></param><param name="allowscriptaccess" value="always"></param><embed src="http://www.youtube.com/v/KosCjMJG5ks?fs=1&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true" width="400" height="320"></embed></object>Radameshttp://www.blogger.com/profile/05342864890287900616noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7979015106414901977.post-47866286986319640192010-11-25T10:09:00.000+01:002010-11-25T10:09:48.464+01:00Anna Karenina a pezzi (liberamente ispirato ad un ricordo di Doris Lessing)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://1.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TO4noz9WDUI/AAAAAAAACGs/8EhaNNwe5Zc/s1600/Sul+Romanzo_Anna+Karenina.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://1.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TO4noz9WDUI/AAAAAAAACGs/8EhaNNwe5Zc/s1600/Sul+Romanzo_Anna+Karenina.jpg" /></a></div><b>Di Pierfrancesco Matarazzo</b> <br />
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<i>Fra ricordi e desideri</i><br />
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<div style="text-align: justify;">Immaginate una distesa di sabbia nervosa, pronta a saltarvi in bocca, chilometri di deserto davanti a voi. Siete una donna e avete attaccati alle gambe due bambini che hanno sete e ciononostante continuano a camminare, in silenzio. Vorreste abbracciarli, pulirli dalla sabbia che incrosta ogni loro sensazione, ogni loro pensiero, che dovrebbe lanciarsi sul mondo senza pensare e che invece è a terra, immobile, seduto sulla loro ombra. Anche voi avete sete, ma questo è poco importante, voi siete grande, voi siete una madre e una madre non si lamenta mai, almeno è così che vi hanno insegnato. </div><div style="text-align: justify;">Portate in testa un bidone di plastica azzurra che risplende scioccamente in quel nulla giallo ocra. Fa caldo, così caldo che il sudore si rifiuta di uscire dal vostro corpo e vi scorre all’interno, fino alle gambe che fanno male, ai piedi che non volete più ascoltare.</div><div style="text-align: justify;">Dopo due ore di cammino, arrivate ad una grossa nuvola di sabbia. Dietro la nuvola c’è una lunga fila, centinaia di bidoni di plastica colorata su teste curve. Alla fine della fila un bancone, anzi una cattedra, come quella dove si sedeva la vostra maestra quando andavate a scuola; per terra non c’era il pavimento, i banchi erano tenuti insieme dal fango e dalle termiti che sembravano aver deciso di razionare i loro pasti pur di non dover scoprire che di legno non vi era più traccia. La cattedra però c’era. Arrivava dall’Inghilterra, una terra in cui un giorno vi piacerebbe portare i vostri figli. Dove l’acqua esce dai rubinetti, i vestiti dagli armadi, il cibo dai frigoriferi, la musica dalle case e i libri, i libri sono dovunque, tanto che sembra che nessuno li legga più. </div><div style="text-align: justify;">I libri li avete sempre amati, ma a scuola ne erano conservati solo cinque ed erano così belli che a nessuno degli studenti era permesso toccarli. Erano arrivati da una scuola che aveva il vostro stesso nome “St. Mary Primary School”, avevano tutti una copertina di pelle verde e le pagine dorate ai bordi, con uno stemma proprio al centro: un drago che lotta con un leone. Il giovedì era il giorno dedicato alla lettura. La maestra ne sceglieva uno, temporeggiando davanti a quei cinque titoli come se si trattasse di una biblioteca di migliaia di volumi e non sapesse proprio quale scegliere. Poi, finalmente, ne prendeva uno e voi chiudevate gli occhi per un momento, sperando che si trattasse di “Kim” di Kipling, ma scoprendo, dalle prime righe lette dalla maestra, che si trattava di “Little Women” di Louisa May Alcott, il libro preferito dalla vostra insegnante. Sospiravate delusa, ma non riuscivate ad impedirvi di ascoltare, desiderando di toccare, anche solo per una volta, quel drago. Poi un giovedì, era maggio e la terra si infliggeva crepe profonde in attesa della pioggia, la maestra, per premiare un vostro tema, vi aveva permesso di tenere uno dei cinque libri in mano, mentre lei lo leggeva alla classe. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">La fila davanti a voi prosegue, consumandosi troppo velocemente per la vostra memoria. Cercate di ricordare il titolo del libro che tenevate in mano mentre la maestra leggeva, ma non ci riuscite e guardate i vostri figli. Fissano la striscia di terra davanti a loro, non parlano, non saprebbero cosa dire, non saprebbero cosa chiedervi, dovreste comunque rispondere di “no”. Ecco siete vicine alla cattedra, dietro vi è seduto un uomo che distribuisce l’acqua da un grosso bidone alla sua sinistra. Non basterà per tutti quelli che sono in fila, ma oggi riuscirete ad arrivare in tempo. </div><div style="text-align: justify;">Tocca a voi, vi fate avanti e l’uomo comincia a riempire il vostro bidone azzurro, quel pezzo di libro è lì, come al solito. Si tratta delle prime novanta pagine di “Anna Karenina”, avete cominciato a leggerlo quattro mesi fa, quando l’uomo lo ha tirato fuori da una vecchia valigia che teneva sotto la cattedra. È la storia di una donna con dei figli che aspetta il suo vero amore, come voi, beh non proprio come voi, ma anche voi aspettate qualcuno che vi porti via. </div><div style="text-align: justify;">Il bidone è riempito, dovete smettere di leggere, dovete ritornare indietro, i bambini hanno bevuto, ma non parlano. </div><div style="text-align: justify;">Guardate l’ultima parola delle venti righe che avete letto oggi: <b><i>desiderio</i></b>. Domani riprenderete esattamente da lì. È strano, ma riuscite ancora a sentirlo. </div>Radameshttp://www.blogger.com/profile/05342864890287900616noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-7979015106414901977.post-29680811710519502582010-11-24T10:47:00.000+01:002010-11-24T10:47:42.152+01:00Intervista a Massimiliano Santarossa<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TOzeZHKxiaI/AAAAAAAACGk/2282ykhvdqY/s1600/Sul+Romanzo_massimiliano-santarossa.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="http://3.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TOzeZHKxiaI/AAAAAAAACGk/2282ykhvdqY/s1600/Sul+Romanzo_massimiliano-santarossa.jpg" /></a></div><div style="text-align: justify;"><b>Di Morgan Palmas</b> </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><i>Un incontro con Massimiliano Santarossa</i></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><b>Buongiorno, vorrei iniziare chiedendole a quale età si è avvicinato alla scrittura e se è stato o meno un caso fortuito. </b></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Mi sono avvicinato alla scrittura intorno ai vent’anni. Ricordo molto bene la mia prima volta. Era circa mezzanotte. Stavo dentro una vecchia osteria di paese, allungavo le orecchie per ascoltare le storie di un vecchio sub, di un ex domatore di tigri e di un giovane pazzo. Mentre ascoltavo le loro folli avventure mi sono accorto per la prima volta del posto, di cosa contenesse per davvero quella vecchia bettola, di quanta vita ci fosse lì dentro e del peccato mortale che stavamo tutti commettendo nel lasciar cadere certe storie nell’oblio. Chiesi al barista carta e penna e cominciai a scrivere ciò che sentivo e vedevo. Poi sono venuti i primi racconti brevi. E dopo qualche anno i libri.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><b>Se consideriamo come estremi l’istinto creativo e la razionalità consapevole, lei collocherebbe il suo modo di produrre scrittura a quale distanza dai due?</b></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">In assoluto più vicino alla razionalità consapevole. Non voglio imbrogliare nessuno usando la favoletta delle storie che nascono per magia. No. Le mie storie nascono dall’ascolto delle vite altrui, dall’uso delle mani per toccare gli oggetti di cui scrivo, dall’uso degli occhi per vedere il mondo che mi circonda, e dallo sfruttamento della memoria per riportare alla luce ciò che ho vissuto in prima persona. L’unico istinto creativo viene alla fine della stesura, quando tento di inserire nel romanzo quella che definisco l’anima del racconto, cioè le frasi che più mi piacciono, e che più andranno a caratterizzare il libro.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><b>Moravia, cascasse il mondo, era solito scrivere tutte le mattine, come descriverebbe invece il suo stile? Ha un metodo rigido da rispettare o attende nel caos della vita un’ispirazione? Ce ne parli.</b></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Conosco bene i vizi degli scrittori. Ci sono anche interessanti saggi in merito. Quando facevo l’operaio scrivevo sempre, ogni istante libero era buono, anche in mezzo al freddo del capannone, magari nascosto dietro qualche macchinario, poi sistemavo gli appunti durante la pausa pranzo. Oppure prendevo appunti mentre giravo per strada, mentre stavo al centro d’un rave party, alle volte anche dopo una scazzottata o una corsa in auto. Sfruttavo l’adrenalina per trovare le parole giuste per i miei primi racconti brevissimi, quelli che pubblicavo in riviste molto alternative e sconosciute.</div><div style="text-align: justify;">Oggi, alla soglia dei quarant’anni, sono molto più pigro. Scrivo solo la sera, dopo aver giocato con mio figlio, dopo aver ascoltato la sua giornata. Appena si addormenta prendo il mio quaderno e scrivo. Mai prima delle nove e mezza di sera. Attendo che ci sia silenzio assoluto.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><b>Di che cosa non può fare a meno mentre si accinge alla scrittura? Ha qualche curiosità o aneddoto da raccontarci a riguardo? </b></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Non posso fare a meno di avere la casa in ordine. Piatti puliti, divano sistemato, lavastoviglie scaricata, spazzatura svuotata, la tuta comoda addosso, il quaderno ordinato (la prima stesura la faccio solo su carta) e qualche matita con la punta pronta. Oggi sono pignolo, per concentrarmi ho bisogno che attorno a me sia tutto in ordine. E pensare che la mia vita “precedente” è stata solo un grande caos!</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><b>Wilde si inchinò di fronte alla tomba di Keats a Roma, Marinetti desiderava “sputare” sull’altare dell’arte, qual è il suo rapporto con i grandi scrittori del passato? È cambiata nel tempo tale relazione? </b></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Vado spesso alla tomba di Pier Paolo Pasolini a Casarsa. Lo sento ancora vivo. Forse ancora il più vivo tra noi. Vado lì, mi fermo davanti alla sua lapide, gli parlo a bassa voce di cose che condivido solo con lui. È l’unico maestro che non riesco ancora a mangiare. Con tutti gli altri scrittori del passato non ho alcun rapporto. Li leggo. Punto.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><a href="http://2.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TOzertAJdfI/AAAAAAAACGo/5cx1psA4lJk/s1600/Sul+Romanzo_Hai-mai-fatto-parte-della-nostra-giovent%25C3%25B9.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="http://2.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TOzertAJdfI/AAAAAAAACGo/5cx1psA4lJk/s200/Sul+Romanzo_Hai-mai-fatto-parte-della-nostra-giovent%25C3%25B9.jpg" width="135" /></a></div><div style="text-align: justify;"><b>L’avvento delle nuove tecnologie ha mutato i vecchi schemi di confronto fra centro e periferia, nonostante ciò esistono ancora luoghi italiani dove la letteratura e gli scrittori si concentrano? Un tempo c’erano Firenze o Venezia, Roma o Torino, qual è la sua idea in merito? </b></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Oggi come oggi è tutto molto complesso. Ma non per colpa delle nuove tecnologie. Bensì per colpa dell’economia che arranca. Gli scrittori, almeno quelli che vedo io, mi pare che di questi tempi tendano a concentrarsi attorno ai finanziamenti pubblici, piuttosto che attorno a un’idea di letteratura e di cultura. Per cui posso dirle che non vedo centri geografici, ma solo centri di potere a cui aggregarsi. Per quanto mi riguarda, ne sto lontano.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><b>Scrivere le ha migliorato o peggiorato il percorso di vita? In altre parole, crede che la letteratura le abbia fornito strumenti migliori per portare in atto i suoi desideri?</b></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Sono orfano di padre fin da piccolo, sono cresciuto solo grazie a mia madre operaia, ricordo benissimo gli inverni gelidi senza nemmeno il riscaldamento in casa, ho frequentato la “classe dei bambini diversi”, non ho alcun titolo di studio, sono entrato in fabbrica da giovanissimo, ho conosciuto tutto ciò che di peggiore la vita possa offrire, poi quasi per caso ho incontrato la scrittura. La scrittura è stata il mezzo per uscire dalla “classe dei diversi”, per capire che pure noi eravamo bambini identici a tutti gli altri, esseri umani quanto gli altri, e infine per scrollarmi di dosso l’etichetta del cattivo ragazzo di strada. Poi grazie alla scrittura ho capito che potevo salvare dall’oblio le storie di persone definite “ultime”. E questo mi ha dato un po’ di pace.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><b>La ringrazio e buona scrittura.</b></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><b>Massimiliano Santarossa</b> (Pordenone, 1974) è uno scrittore italiano.</div><div style="text-align: justify;">Ha pubblicato “Storie dal fondo” per Biblioteca dell'immagine nel 2007, “Gioventù d'asfalto” sempre per Biblioteca dell'immagine nel 2009. Il nuovo romanzo “Hai mai fatto parte della nostra gioventù?” Baldini Castoldi Dalai editore è uscito nel 2010. </div><div style="text-align: justify;">I suoi libri nascono nell'estrema periferia italiana, tra disagio, vite ai margini, avventure di ogni genere. Prima di dedicarsi alla scrittura, l'autore è stato falegname, poi operaio in una fabbrica di materie plastiche e ha condotto buona parte della propria vita a braccetto con i personaggi da lui stesso narrati. Le storie narrate, per quanto incredibili, hanno riscontro in dati autobiografici. Ha vinto nel 2008 il premio letterario "Parole Contro" e nel 2009 ha ricevuto la menzione speciale del premio "Tracce di Territorio".</div><div style="text-align: justify;">Dal 2009 i suoi libri sono rappresentati a teatro.</div>Radameshttp://www.blogger.com/profile/05342864890287900616noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7979015106414901977.post-13900067889178132582010-11-24T10:09:00.000+01:002010-11-24T10:09:55.224+01:00La parola del giorno - 16<div style="text-align: justify;"><b>Di Morgan Palmas</b></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;"><b>Occàso</b> s. m.,<i> lett.</i> <b>1. </b>Tramonto: <i>il sole volge all’o.</i>;<i><b> estens.</b></i>, occidente:<i> Ad un occaso quasi e ad un orto Buggea siede e la terra ond’io fui</i> (Dante). <b>2.</b> <i><b>fig.</b></i> Declino ♦ Morte: <i>Può domandar perdono anzi l’occaso</i> (Ariosto) </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">(Ringrazio <a href="http://www.lauracostantini.it/">Laura Costantini</a>; se anche voi volete proporre una parola desueta ai nostri lettori, scrivete a sulromanzo@libero.it, con Oggetto: parola del giorno).</div>Radameshttp://www.blogger.com/profile/05342864890287900616noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7979015106414901977.post-23839423848684859642010-11-24T10:00:00.000+01:002010-11-24T10:00:34.101+01:00“Le Cose Fondamentali” di Tiziano Scarpa<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TOzTyi1IWyI/AAAAAAAACGg/gvRuI_i7s14/s1600/Sul+Romanzo_le-cose-fondamentali_tiziano+scarpa.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://3.bp.blogspot.com/_dbiVLTO2dz8/TOzTyi1IWyI/AAAAAAAACGg/gvRuI_i7s14/s320/Sul+Romanzo_le-cose-fondamentali_tiziano+scarpa.jpg" width="196" /></a></div><b>Di Anna Costalonga</b> <br />
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<div style="text-align: justify;"><i>“Le Cose Fondamentali” di Tiziano Scarpa (Einaudi)</i></div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Diciamolo: il titolo è impegnativo. Le cose fondamentali, ovvero le cose da cui non si può prescindere. Alla stessa stregua di quello che avviene per titoli magari più dotti come “I fondamenti della teoria del linguaggio” o “I fondamenti del calcolo differenziale ad uso dei licei e degli appassionati”, quando uno entra in libreria e lo scorge, non può non sentirsi minacciato. “Io racconto di cose fondamentali, dunque sono fondamentale, dunque sono imprescindibile: o mi compri o resti un ignorante”. </div><div style="text-align: justify;">Va da sé che con la millantatrice fascetta rossa, non sono io a comprare il libro, è il libro che salta direttamente nella mia borsa. Quando si dice che si vende da solo.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Il lettore è un infante?</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Il libro inizia come un diario della paternità: il protagonista non sa darsi pace, è galvanizzato dal fatto di essere diventato padre da appena poche settimane, al punto da ossessionarsi con l'idea di scrivere una confessione, che il figlio dovrà leggere quando avrà quattordici anni.</div><div style="text-align: justify;">Detta così, è un'idea di fondo che potrebbe anche risultare accattivante. </div><div style="text-align: justify;">In pratica, invece, sono stata costretta a sfogliare parecchie pagine di pura chiacchiera, prima di trovare qualche paragrafo che andasse al di là del rassicurante stereotipo o della abusata strizzatina d'occhio al lettore.</div><div style="text-align: justify;">Ad ogni frase, mi assaliva un senso di stizza, un nervosismo: il protagonista parla direttamente al figlio appena nato.</div><div style="text-align: justify;">Espediente in realtà per coinvolgere i lettori, facendo leva sulla tenerezza che può ispirare il rapporto padre-neonato, che su di me però ha avuto lo stesso effetto di quando capita di incontrare certi venditori così spiritosi, così affabili nel voler vendere la loro merce, da rendermi conto che il loro unico obiettivo è appunto vendere la loro merce.</div><div style="text-align: justify;">Perché questo è un libro che insegue i lettori, li insegue in una maniera così fastidiosa, strattonandoli quasi per le maniche pur di ottenere la loro benevolenza, da non capire quanto irritante possa essere usare il “tu”, cioè quanto possa essere irritante per chi legge sentirsi in qualche maniera equiparato al bambino stesso, continuamente interpellato da un padre-scrittore ossessivo e solipsistico.</div><div style="text-align: justify;">Si potrebbe obiettare che l'effetto è voluto. </div><div style="text-align: justify;">Proseguo quindi nella lettura, concedendo il beneficio del dubbio.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Fra parentesi</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">E la lettura di questa confessione-paternale anticipata rivela un secondo aspetto: più che il dramma del padre che non riesce a capire quale tono usare per indirizzarsi al figlio appena nato, o il dramma del padre che vede infrangersi i suoi sogni e le sue speranze quando il pargolo si ammala gravemente, ho il sospetto di trovarmi di fronte al dramma di uno scrittore ossessionato dall'idea di farsi ascoltare dai lettori.</div><div style="text-align: justify;">E che non sa quali armi usare, pur di ottenere la loro attenzione. </div><div style="text-align: justify;">Pur di riuscire a risultare “vero”, “tangibile”, “reale” e quindi riuscire a tenere in pugno chi legge in tutti i ragionamenti, a volte contorti, ma sempre già sentiti o prevedibili, per persuadere della loro bontà.</div><div style="text-align: justify;">Quando leggo un libro, mi chiedo sempre quale sia la motivazione di fondo per certe scelte stilistiche. Perché sono costretta a leggere interi paragrafi scritti fra parentesi? (abitudine che anche nella lingua non letteraria trovo seccante).</div><div style="text-align: justify;">Per farmi convincere che il narratore stia davvero parlando, in questo stesso preciso momento in cui leggo? Mi sembra pleonastico. Per farmi convincere che stia parlando con sincerità? Niente di più ostentato e falso di chi dice “(io sono sincero)”.</div><div style="text-align: justify;">Perché la mia attenzione di lettrice, appena è catturata dal principio di una seppur debole trama, deve essere subito distolta con trovate, artifici stilistici, punteggiature fintamente azzardate e sperimentalismi sciacquati con l'acqua fresca ma clorata dell'acquedotto comune, per renderli potabili al grande pubblico?</div><div style="text-align: justify;">Dategli il di più e faranno a meno del necessario, <i>pardon</i>, delle cose fondamentali.</div><div style="text-align: justify;">Tutto questo, fra parentesi.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Il Colpo di Scena</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">È nel quarantanovesimo minicapitolo, che avviene un colpo di scena, destinato a creare finalmente una dinamica nella trama.</div><div style="text-align: justify;">Il pargolo si ammala gravemente, come già accennato: la disperazione del padre si tramuta nel passaggio dall'io-narrante alla terza persona, senza soluzione di continuità. </div><div style="text-align: justify;">Da lì in poi, tutta una serie di sperimentalismi potabilizzati. Niente di cui scandalizzarsi, sia chiaro: ma sono artifici così evidenti, così tagliati con l'accetta, insomma, così pesanti, da spostare l'attenzione su di sé e togliere profondità alla lettura.</div><div style="text-align: justify;">A questo punto sorrido: neppure in un momento così patetico si riesce a toccare la corda del drammatico, del vero.</div><div style="text-align: justify;">Da questo momento in poi, dopo aver accuratamente scansato le corde più sincere del vissuto, e con abile slalom, evitato di affrontare in profondità tematiche che sarebbero potuto risultare scomode, in una parola <i>sgradevoli, non potabili</i>, ecco tornare l'io-narrante. </div><div style="text-align: justify;">Questa volta non scrive più ma racconta il tentativo di trovare un donatore di midollo per il suo neonato (che si scopre non essere nemmeno suo, al culmine del paradosso).</div><div style="text-align: justify;">E da qui assistiamo a trovate narrative gratuite, come l'amico alter ego Tiziano che fa andare il protagonista fino a Basilea solo per mostrargli un quadro di Hans Holbein, perché, dice, “la risposta ai tuoi quesiti sta in questo quadro”: citazionismo senza alcuna eleganza, perché ostentato nozionismo, effetti speciali in economia narrativa, di cui si poteva davvero fare a meno. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Non sto a raccontare il finale, per non togliere sostanza a una materia che di suo già ce ne ha poca.</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Tirando le somme</div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Mi è sembrata un'opera pretenziosa, non riuscita, non centrata, disequilibrata. </div><div style="text-align: justify;">Che il protagonista narratore ci dica continuamente che non sa come proseguire il suo scritto sembra solo una trovata per nascondere un'effettiva impasse dell'autore. </div><div style="text-align: justify;">Si può anche portare il lettore in un labirinto intricato, ripeto, ma per farlo bisogna legarlo a un filo: non ha importanza lo spessore, basta che sia un filo univoco e soprattutto che ispiri fiducia, credibilità.</div><div style="text-align: justify;">Deve scattare insomma un meccanismo di persuasione tra il libro e il lettore a mio avviso, che qui non c'è o forse c'è solo in alcuni passaggi.</div><div style="text-align: justify;">E non c'è perché è un'opera disorganica, perché il lettore è sorpreso a ogni piè sospinto da trovate che depauperano la trama invece di arricchirla e lo portano in un territorio di nessuno. </div><div style="text-align: justify;">Anche in questo caso, si potrebbe obiettare che questo era lo scopo in fondo.</div><div style="text-align: justify;">Come si dice più avanti: le cose fondamentali non esistono. Ciò che si crede fondamentale decade all'improvviso. E quindi anche la trama.</div><div style="text-align: justify;">Si può accettare in teoria questa spiegazione – anche se preferirei non dover giustificare il testo che sto leggendo per farmelo digerire – a patto che le trovate e gli sperimentalismi siano davvero espressione di una <i>ricerca</i> e non una pacchiana effettistica, tipica del “bravo scrittore” che deve impressionare a tutti i costi con la sua maestria. </div><div style="text-align: justify;"><br />
</div><div style="text-align: justify;">Già, la ricerca. Chiudo l'ultima pagina, riguardo il titolo velleitario e mi interrogo su ciò che mi è rimasto di questo libro: ho letto 167 pagine e non ho provato nessuna emozione, né scoperto nuove prospettive. </div><div style="text-align: justify;">Non mi è rimasto niente: sono stata semplicemente intrattenuta, e per di più in maniera grossolana, e scontata.</div>Radameshttp://www.blogger.com/profile/05342864890287900616noreply@blogger.com1