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]]>Miles Davis convocò il gruppo, distribuì dei foglietti, disse: “Tu fai questo, tu fai quello”, poi si misero a suonare. Certo non erano musicisti qualsiasi: John Coltrane, Julian “Cannonball” Adderley, Wynton Kelly, Bill Evans, Paul Chambers e Jimmy Cobb.
Ashley Kahn, autore di Kind of Blue: The Making of the Miles Davis Masterpiece, dice che la registrazione risultante possiede quasi una qualità spirituale poiché i musicisti, in particolare Coltrane, sembrarono prendere un approccio riverente alla composizione (in fondo ho messo il link all’audio di questo documentario).
Su youtube ho trovato il video della registrazione di So What. E’ buffo come Miles Davis se ne stia dietro a fumare l’assolo di Coltrane.
Miles Davis Quintet – So What di Delta_Mike
Fonti e approfondimenti consigliati:
Miles Davis: ‘Kind of blue’ su NPR Music;
Miles Davis, Kind of blue su Onda Rock;
Kind of blue su Wikipedia.
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]]>L'articolo Storia dei Bentivoglio, Signori e Marchesi di Magliano in Toscana. Origine e storia dei cinque Marchesi di Magliano. proviene da Pensiero Profondo.
]]>di Vittoriano Baccetti
La dinastia Bentivoglio, che tante tracce di sé ha lasciato nel Ferrarese, Venezia, Gualtieri, Milano, ed anche nella gerarchia ecclesiastica, inizia nel lontano XIV secolo, capostipite un certo Giovanni I°, il quale ebbe tre figli, noi nel nostro scritto al di là di qualche sporadico accenno, ci cureremo solamente di quelli che hanno condizionato la storia di Magliano dal 1559 al 1838 (vedremo perché 1838!).
Quindi “capostipite” dei marchesi di Magliano possiamo considerare ANTONGALEAZZO, che sposò nel 1420 Francesca Gozzadini dalla quale ebbe due figlie. Fortunatamente per la dinastia aveva anche un figlio maschio (naturale) tale ANNIBALE, che sposò nel 1441 Donnina Visconti, dalla quale oltre Antonia ebbe un figlio GIOVANNI II (1443/1508) che nel 1464 sposò Ginevra Sforza, dalla quale ebbe 11 figli (6 femmine e 5 maschi). Ginevra era vedova di Sante Bentivoglio, al quale aveva dato due figli: Ercole e Costanza, Costanza sposò nel 1473 Pico della Mirandola. Colui che continuerà la dinastia fino al marchesato è ANNIBALE II (1469/1540) che sposò Lucrezia d’Este nel 1487, dalla quale ebbe, oltre ad Ercole, COSTANZO, che sposò Elena Rangoni, dalla loro unione nacque quel CORNELIO (1519-1520?/1585), che sposò in prime nozze Leonarda d’Este, ed in seconde nozze Isabella Bendedei nel 1573 (nella Treccani è chiamata Bendidio). Cornelio, dalla prima moglie, ebbe 4 figli e 5 dalla seconda, e lo possiamo considerare come il vero iniziatore della dinastia marchesale di Magliano in Toscana (allora solamente Magliano), anche se di Magliano, al di là di quello che scrive il Repetti nei suoi Dizionari del 1839 e seguenti, Cornelio, ne fu solamente SIGNORE e non marchese, come egli stesso ha fatto scrivere in una lapide che a Castel Gualtieri, ricorda la costruzione della Botte Bentivoglio, importante opera di bonifica idraulica. Nel marmo posto a futura memoria nell’ anno del Signore MDLXXVI, si legge testualmente “ CORNELIVS BETIVOLUS CASTRIGVAL MARCHIO MALIANIO DNS. Ecc. ecc.”
Cornelio Bentivoglio, nominato Luogotenente generale da Enrico II di Francia, nel trattare la pace con Siena (Repubblica di Montalcino) ed i Medici, riuscì ad ottenere da Cosimo I la SIGNORIA FEUDALE di Magliano (giusto diploma del 14 agosto 1559); (nel 1567 ottenne anche la signoria di Gualtieri, elevata a marchesato nel 1575). Trattasi del I° feudatario di Magliano dell’era moderna!
I figli di Cornelio che maggiormente possiamo ricordare sono:
GUIDO (1579/1644) divenuto Cardinale. Figlio della Bendedei.
ENZO o ENZIO (1575/1639), III° signore di Magliano, anche lui figlio della Bendedei, che sposò Caterina Martinengo nel 1602.
Enzio, alla morte del fratellastro Ippolito,(figlio della prima moglie di Cornelio), subentrò nella successione e governò, come marchese, Gualtieri fino al 1634, che proprio in questo anno scambiò con quello di Scandiano. Nel 1632 amministrò per 11 anni il marchesato di Castelgrande, assieme al figlio Cornelio, che poi lo cedette. Nel 1635 (20 luglio), quale SIGNORE feudatario (come in alcuni scritti si dichiara) ma non marchese, vendette il Feudo di Magliano a tale Senatore Capponi di Firenze per 110000 scudi.(6)-
(Testualmente scrive il Repetti : “Uno dei successori del primo Marchese di Magliano Enzio Bentivoglio, previa l’annuenza sovrana, per istrumento de’20 luglio 1635 vendè questo feudo col patto resolutivo di anni 12 al senatore fiorentino Scipione del fu Piero Capponi e ai suoi discendenti maschi, mediante il prezzo di scudi 110,000.”
Il Gherardini nella sua visita del 1676 invece scrive:
“Nell’anno 1559 fu dal Senerissimo Gran Duca COSIMO I di Toscana infeudata al g. Cornelio BENTIVOGLI, come per l’investitura, e nell’anno 1640 pervenne nel Marchese Scipione CAPPONI, che la tenne fino all’anno 1641, ma in che modo, e con qual titolo non s’é possuto riconoscere.”
I due non si trovano d’accordo con le date né con le motivazioni; uno cita documenti, l’altro è un contemporaneo o quasi. Se avesse ragione il Gherardini non sarebbe stato Enzio a venderlo ai Capponi, in quanto era morto nel 1639)
Il Feudo nel 1641 venne ripreso in possesso della Corona Granducale, e venne dalla stessa amministrato tramite un Podestà (nobiluomo senese) fino al 1661, quando, elevato a MARCHESATO, venne ridato ai Bentivoglio in persona di CORNELIO II (1606/1663), figlio di quell’Enzo o Enzio che lo aveva venduto.
(ASF – Consiglio di reggenza 866 notizie succinte sui feudi che si trovano nello stato di Siena – Feudi che hanno origine da investiture Granducali. C. 168: “ Magliano Terra della Diocesi di Sovana eretta in Signoria il 13 agosto 1559 e concessa a Cornelio Bentivoglio, suoi figli e descendenti maschi in infinito e di poi nel 1661 dal Granduca Ferdinando II eretta in Marchesato e data all’istessa Famiglia”)
1° MARCHESE DI MAGLIANO
CORNELIO II, sposò in prime nozze Anna Strozzi ed in seconde nozze Costanza Sforza ebbe come figlio IPPOLITO (+1685)
2° MARCHESE DI MAGLIANO
IPPOLITO II, (+1685) – sposò Lucrezia Pio di Savoia, fu scrittore di libretti e drammi musicali fra i quali “Achille a Sciro” (Venezia 1663) e Tiridate (1665), da Lucrezia Pio di Savoia ebbe CORNELIO (1668/1732) che divenne un famoso Cardinale scrittore di varie opere ed epistole. L’altro suo figlio Luigi continuò la dinastia marchesale di Magliano.
3° MARCHESE DI MAGLIANO
LUIGI, (+1744) figlio di Ippolito e Lucrezia Pio di Savoia, si sa che sposò Marianna dei Marchesi Pepoli, ebbe una figlia Lucrezia che nel 1719 sposò Alfonso di Serra. E due figli Ippolito III° e Guido. Nel 1738 l’imperatore gli rinnovò il Marchesato.
4° MARCHESE DI MAGLIANO
Il quarto marchese di Magliano doveva essere Ippolito III, ma essendo morto nel 1729, la successione andò al fratello Guido. Ippolitò III sposò nel 1727 Marianna Gonzaga (1706-1758) dalla quale non ebbe figli maschi. Ippolito III morì solamente dopo due anni di matrimonio.
GUIDO (1705/1769) (3), fratello minore, che interruppe una promettente carriera ecclesiastica, e si precipitò a Ferrara dove inizio a governare i beni della famiglia.
Sposò il 7/10/1731 Licinia dei Conti Martinengo, morta a 32 anni, sposò quindi Elena Maria Grimani, dalla quale ebbe una figlia, Matilde, che il 31/8/1758 sposò Niccolò XII Marcantonio Erizzo, ed un Figlio CARLO GUIDO (Ferrara 24/2/1769-Venezia 4/8/1843) erede al titolo.
Guido fu amico e mecenate di Antonio Vivaldi con il quale intratteneva un nutrito scambio di corrispondenza.
5° MARCHESE DI MAGLIANO
CARLO GUIDO, alla morte del padre verso la fine dell’anno 1769, Carlo Guido non aveva ancora 1 anno di età, e si trovò ad essere il 5° ed ultimo Marchese di Magliano, Ovviamente il Marchesato ed il Feudo furono amministrati dalla di lui madre Elena Maria Grimani quale tutrice, fino alla definitiva abolizione dei feudi.
Sposò in prime nozze il 30/6/1801 Adelaide Foscarini ed in seconde nozze il 1/5/1819 Paolina Bernardo. Ha avuto un figlio, Niccolò nel 1816 che a sua volta ha generato Guido nel 1851.
Carlo Guido Bentivoglio fu creato ciambellano nel 1803 dall’imperatore Napoleone; divenne cavaliere dell’ordine della Corona di Ferro nel 1806; e conte del Regno d’Italia nel 1809.
Nel 1817 l’Imperatore d’Austria Francesco I (trattavasi di Francesco II che poi prese il titolo di Francesco I d’Austria) confermò alla famiglia il Patriziato Veneto e nel 1818 il titolo di Marchese.
Con Carlo Guido, come dicevo, termina l’esistenza del Feudo di Magliano e delle proprietà dei Bentivoglio, che vendettero i loro possessi, forse senza mai averli visitati (*) a tale Lorenzo Biondi, con il quale e poi con il di lui erede, la comunità Maglianese si trovò in causa, purtroppo persa per la comunità (onestamente senza apparenti motivazioni giuste, almeno a leggere memorie e sentenze) circa il possesso del Palazzo di Giustizia, di quello del Podestà e relativi annessi (resti del Cassero, antichi fabbricati attigui, nonché una resede di terreno ad uso orto e giardino), Causa che iniziata nel 1823, terminò nel 1838.
Come unico ricordo del “dominio” dei Bentivoglio a Magliano sono rimasti solamente i colori Giallo e Rosso del loro stemma, che anche adesso sono i colori sociali di alcuni sodalizzi locali.
Note:
Ps- visto il ripetersi di nomi propri fra i vari eredi ho creduto opportuno indicare i signori ed i marchesi aggiungendo il numero romano I – II – III
(*) si legge da più parti che mai un Bentivoglio sia sceso in Maremma al Feudo di Magliano che hanno sempre amministrato con Commissari e Ministri, o come sembra, ma è da controllare, affittato negli ultimi anni ai frati Camaldolesi (Vedi visita di Pietro Leopoldo nel 1787)
(1-2)
Repetti e le sue errate indicazioni sui Bentivoglio
Dizionario del 1839
“… però soggiogata e riunita Siena… con diploma del 14 Agosto 1559, Magliano con il suo distretto fu dato in feudo col titolo di Marchesato al luogotenente generale Cornelio Bentivoglio che nella guerra di Siena eresi fatto creditore… con facoltà di succedere nelli stessi diritti di marchesato i di lui figli…”
Dizionario successivo dove sono riportati dati statistici del 1845
“ omissis …Cosimo I de’ Medici, il quale volle gratificare il luogotenente generale Cornelio Bentivoglio dandogli Magliano a titolo di Signoria (quindi non marchesato come aveva scritto nel 1839), con diploma del 14 agosto 1559, con facoltà di succedere…omissis. Infatti alla morte di Cornelio (1585) succedè il figlio Ippolito, confermato dal Granduca Ferdinando I, con diploma dell’anno 1584 (?), dichiarandolo esso ed i suoi discendenti maschi marchese di Magliano.”
Queste indicazioni sono completamente errate i due Bentivoglio in questione non sono mai stati Marchesi di Magliano ma solamente Signori.
Lo stesso Repetti nella edizione successiva, si è parzialmente corretto, dicendo che la nomina a Marchese era avvenuta ad Ippolito e non più a Cornelio.
Anche Ippolito però, come vedremo in altra documentazione allegata, lettere inviatigli, non si faceva chiamare marchese di Magliano, perché di fatto lo era solamente di Gualtieri, anche lui di Magliano era solo Signore. Inoltre mi sembra strano che il feudo sia stato confermato nel 1584 ad Ippolito, quando il babbo Cornelio era ancora in vita. Da nessuna parte ho trovato questa successione pre-mortem. Difatti se leggiamo il documento del 18 agosto 1588 con il quale il Cardinale Ferdinando dei Medici Granduca di Toscana conferma il Feudo, esso dice testualmente “Confermo al Molto Illustre Ippolito Bentivogli e a di lui discendentia Maschi nati da principio e da nascere da legittimo matrimonio, il Feudo di Magliano, che già sotto il Primo Xbre 1585 aveva concesso il Defunto Gran’Duca fratello di S.A……”
Come leggiamo anche in questo documento non si parla di Marchesato ma di Feudo e la data è quella esatta del 1585 e non 1584.
Oltre a quanto sopra scritto, che Cornelio e Ippolito non erano Marchesi di Magliano ma solamente signori, lo dimostrano sia i documenti allegati, tipo la lapide della Botte Bentivoglio, sia le lettere ricevute da Ippolito, ma principalmente il documento del 1661 presso l’ASF, riportato in questo testo. Che nuovamente riporto:
(ASF – Consiglio di reggenza 866 notizie succinte sui feudi che si trovano nello stato di Siena – Feudi che hanno origine da investiture Granducali. C. 168: “ Magliano Terra della Diocesi di Sovana eretta in Signoria il 13 agosto 1559 e concessa a Cornelio Bentivoglio, suoi figli e descendenti maschi in infinito e di poi nel 1661 dal Granduca Ferdinando II eretta in Marchesato e data all’istessa Famiglia”)
Si legge inoltre dal Repetti che Cosimo I infeudò i Bentivoglio il 14 Agosto e che il governo di Montalcino lo fece il 14 luglio, ora considerando che il Bentivoglio combatteva per Siena contro i Medici sembrerebbe che Siena gli abbia dato il Feudo per poi “costringere” Cosimo I a confermarlo. Se leggiamo attentamente il documento di investitura, conservato nell’Archivio Pre-Unitario del Comune di Magliano, vediamo che vi sono delle notevoli divergenze fra quanto scritto dal Repetti e quanto ripottato nel testo che qui trascriviamo:
nell’A.S.F.- pratica segreta 186 e ASS, Ms D 80:-
“Magliano, Terra di Maremma, della quale con più cosa al Caleffo dell’Assunta fo.339 e altro segg., fu dato dal Governo di Montalcino, l’anno 1559 li 14 luglio al sig. Cornelio Bentivoglio, suoi figli e successori, in perpetuo a feudo libero e franco con alcun pregiudizio della pubblica dogana con tutte quelle ragioni, azioni giurisdizioni, autorità, pertinenze, franchigie, immunità, privilegi, obblighi e gravezze che per l’addietro ha avuto et ha oggi al presente la istessa repubblica, ponendo detto signore illustrissimo e suoi successori in tutto e per tutto in luogo di detta repubblica, che per entratura e laudemio di tal feudo devi pagare esso signor Cornelio a detto Governo due baccini e due boccali , 20 di peso d’argento netto e puro… che ogn’anno per la festa d’Agosto devi pagare all’Opera del Duomo di Siena un cero di lib. 15 di cera bianca.”
Il Repetti continua,
1635 – “Il marchese Enzio, uno dei successori, e forse figlio, stesso del marchese Ippolito Bentivoglio, per atto del 20 luglio 1635 vende il suo feudo (°) di Magliano per anni 10 mediante lo sborso di 110000 scudi…omissis”(Repetti ed. 1845)
Sappiamo di certo che Enzio, Enzo o Erno (1575/1639) come altri lo chiamano, di fatto era marchese di Gualtieri, non lo era di Magliano, ed era fratellastro di Ippolito, (figlio della prima moglie) in quanto anche lui figlio di Cornelio ma di Isabella Bendedei (o Bendidio) seconda moglie.
(°)- lo stesso Repetti parla di Feudo e non di Marchesato
1661-“Finalmente per via di transazione il Feudo di Magliano ritornò nel 1661 alla corona Granducale….”
Anche in questo caso Repetti toppa perchè il feudo era tornato alla Corona nel 1641 e nel 1661 fu ridato ai Bentivoglio
1738 –“la stessa concessione feudale di Magliano fu rinnovata nell’anno 1738 dal primo Granduca della dinastia Austro-Lorena felicemente regnante a favore del Marchese Luigi Bentivoglio che lo ritenne fino alla legge sull’abolizione dei Feudi Granducali”
Putroppo non andò così, il Marchese Luigi morì nel 1744 e la prima legge sull’abolizione dei Feudi è del 1749, poi ci sono state altre leggi in merito.
Non è che ho voluto fare le pulci al Repetti che reputo un grandissimo storico, ma penso proprio che con i Bentivoglio ne ha azzeccate poche. D’ altro canto leggendo lui e gli altri documenti mi sono trovato in difficoltà con date e descrizioni per cui ho dovuto rimetterci ordine.
(3) da alcune parti ho trovato scritto che il Marchese Guido morì nel 1769, ma nella memoria del Gonfaloniere Faggi del 1830, relativa alla causa per il possesso del Palazzo di Giustizia e di quello del Podestà, si parla del 1773, non so a chi dare ragione, anche perché ho trovato che il minore Carlo Guido salì al titolo di Marchese verso la fine del 1769 e gli inizi dell’anno 1770, per cui propengo per la morte del padre nel 1769.
Consultazioni:
Enciclopedia Treccani
Compendio cronologico critico della storia di Mantova – 1838 – Leopoldo Camillo Volta
I Bentivoglio di Ferrara –Milano 1819 – P.Litta
Libro d’oro della nobiltà mediterranea
Geneall.it
Documenti allegati:
Documento 1
1576 – Lapide di Cornelio Bentivoglio, a Gualtieri, a ricordo della costruzione della Botte Bentivoglio
In questa lapide nel Comune di Gualtieri, si legge di Magliano.
La lapide fu posta nell’anno 1576 da Cornelio Bentivoglio, in occasione della costruzione della Botte Bentivoglio, importante opera idraulica pewr la bonifica dei terreni
Per quanto ci riguarda, inizialmente, possiamo leggere:
“CORNELIUS BETIVOLUS CASTRIGUAL MARCHO MALIANIO DNS…”
CORNELIO BENTIVOGLIO MARCHESE DI GUALTIERI E SIGNORE DI MAGLIANO”
Questa lapide dovrebbe darci la certezza che il primo feudatario di Magliano, dell’era moderna, era Marchese di Gualtieri (dal 1575) ma non lo era di Magliano. Di Magliano era solamente Signore, come lui stesso si dichiara, e come anche i documenti comprovano.
Fonte: http://magliano-heba.blogspot.com/
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]]>Tutto sembra perduto, ma qualcuno si è accorto della tragedia in atto, anche perché non è la prima che accade in quel luogo. Eroicamente Charles Hambly e altri tre abitanti del luogo riescono a trarre in salvo i naufraghi. Purtroppo nulla possono per uno dei marinai, rimasto senza nome e il cui corpo non fu mai ritrovato, e per Domenico Catanese, ragazzo di cabina di 14 anni.
Non è chiaro come avvenne il salvataggio, Ellen Cotton quando lo raccontò anni dopo, nel 1959, non si ricordava, o forse non sapeva. Forse avvenne calando delle funi dalla sommità della roccia oppure tramite una piattaforma di fortuna. Tuttavia ricordava bene il corteo funebre che passò davanti alla sua casa diretto alla chiesa parrocchiale. Mr. Cooke, che officiò la cerimonia, disse il Paternoster in latino, quella fu l’unica parte della messa che gli italiani poterono seguire. Sulla tomba di Domenico fu posta una croce fatta in legno di quercia, forse proveniente dal relitto. Sulla croce fu apposto un salvagente dello Iota.
E’ così che l’ho trovata il 31 luglio 2011. A distanza di tanti anni gli abitanti di Tintagel ancora si prendono cura della tomba dello sfortunato ragazzo.
Alcune foto della chiesetta e del cimitero.
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]]>L’Ulivo della Strega Leggi altro »
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]]>Sono stato a trovarlo, lì dove vive ormai da moltissimi secoli, assieme ai confratelli, tutti più giovani, ma alcuni con una veneranda età, oltre i 1000 anni sicuramente. Il vecchio olivo, ridotto ormai ad un tronco rugoso e malandato, ma ancora vegeto nel grosso pollone che fruttifica da diversi anni, sembra voler dire:
Dietro i miei ormai 3000 anni, secolo più secolo meno, ne ho viste e ne ho passate di belle e di brutte: estati caldi e secche che mi facevano ingiallire le foglie e produrre olive piccole e grinzose; inverni rigidi con abbondanti nevicate e tanto ghiaccio che ha seccato molti dei miei amici, ho visto guerre e guerre combattute sotto quelle vetuste mura che mi si parano davanti e molti uomini uccisi dalle stesse e dalle pestilenze.
Ovviamente non sono sempre stato l’albero più grande e vecchio di questo campo, che oggi è un bellissimo oliveto, ma che al tempo degli etruschi, ed anche prima, era un bosco rigoglioso del quale io facevo parte. Poi è avvenuto il disboscamento delle piante che non erano olivi, c’è stata la messa a dimora di altri, fino a formare questo “moderno” oliveto che oggi si presenta con piante relativamente giovani intercalate da qualche vetusto, non come me, confratello. Anche quello là, vicino alla Chiesa, nel giardinetto, è molto vecchio, e tanti turisti lo scambiano per me. Non che ne sia geloso ma a volte fanno le foto a lui invece che a me e poi se ne vanno contenti, ignari di avere sbagliato pianta! La colpa è di certe guide e di certi autori che, forse, senza essere mai venuti a trovarmi, scrivono che “ l’olivo della strega ” si trova “in un grande giardino vicino alla Chiesa”.
Torniamo a me, quando mi sono reso conto di essere l’albero più grande e vecchio della zona, mi sono un po’ inorgoglito, mi sentivo importante, anche perché gli Auguri, gli Aruspici, sacerdoti etruschi, con i loro alti cappelli a semicono ed il loro bastone ricurvo con il quale a volte percuotevano il mio tronco, poi sacerdoti romani e poi barbari, avevano preso l’abitudine di venire all’ombra delle mie fronde, come fossi un tempio, a celebrare i loro riti pagani, a invocare i loro dei sia buoni che malefici. Ogni tanto, non so come, venivo coinvolto nel loro rituale e sentivo i miei rami scricchiolare e contorcersi in maniera innaturale fino ad assumere varie forme.
Nel gioco delle luci e delle ombre, nei vari momenti della giornata, queste forme apparivano e sparivano: erano figure di animali, di strani esseri umani e non, di simboli religiosi, per questo mi sono sentito appioppare il nome di “olivo della strega”.
A dire la verità, nel mio tronco, fino a poco tempo fa, si potevano distintamente vedere in alto, su un ramo centrale la faccia butterata di uomo o di una vecchia e, lungo il tronco, la figura di un felino (un grosso gatto) in fase di arrampicata, ed accanto alla testa dello stesso, il profilo di una donna, con i capelli lunghi. Di queste immagini esistono o esistevano delle foto. Ricordo che i fotografi le scattavano verso sera, quando la luce del tramonto rendeva più evidenti anche altre immagini che si formavano sul tronco contorto e sui rami più vecchi.
Un giorno, circa 2000 anni fa mi giunse una notizia dai miei fratelli coetanei del Getsemani, che parlava di un Uomo particolare che era un Dio, anzi loro dicevano che era Dio nelle vesti di un uomo e che venne crocifisso.
Da allora a poco a poco i riti pagani che venivano praticati all’ombra delle mie fronde divennero sempre più radi, ed io mi sono trovato sempre più solo ed abbandonato.
Poi all’improvviso sono diventato oggetto di curiosità: venivano studiosi, visitatori vari, chi mi misurava il pedone e dicevano è10 metridi circonferenza, altri calcolavano il diametro, ricordo che uno disse e di metri 2.60; qualcun altro diceva questa pianta è come una sequoia. Questo nome? La sequoia, tante volte lo ho sentito pronunciare da persone che mi ammiravano e mi ammirano, mi è rimasto in mente, ma non so cosa sia!
Poi alcuni iniziarono a calcolare i miei anni: chi diceva 1000, chi 2000, chi 3000, hanno analizzato il mio tronco, poi il verdetto trattasi di olivo plurimillenario.
Qui vicino a poco più di un centinaio di metri da me, dove i Romani avevano costruito una loro Domus, con un tempio, si insediarono i sacerdoti della nuova Religione, che non facevano più quegli strani riti sotto le mie fronde, ma costruirono sui ruderi romani un piccolo oratorio, con uno spiazzo dove venivano a giocare i pochi giovani dal paese, nei giorni di festa. Anche se un po’ lontano, per me era pur sempre una compagnia. Un giorno successe un fatto strano, seppi dal mormorare delle fronde degli altri olivi, che un nostro fratello si era messo a produrre fagioli anziché olive. Da buon veterano della specie gli feci sapere, come un padre al figlio, che la cosa non andava bene, lui mi rispose con una frase da poco scritta da un grande poeta “volsi così colà dove si pote ciò che si vuole” ed io mi zittii. Purtroppo però gli uomini non sempre ascoltano questo volere e dopo qualche centinaio di anni i nuovi padroni del piccolo oratorio, che nel frattempo si era ingrandito, e che non erano più i frati, ma signorotti locali, al fine di evitare i continui pellegrinaggi, “gambizzarono” il caro amico olivo, reo di avere prodotto fagioli non per suo volere. Vai a capire gli uomini!
Dopo l’ultima grande guerra, un lunedì di Pasqua, l’uliveto era gremito di persone scese dal paese per fare una festosa merenda tutti assieme, era una tradizione che la guerra aveva interrotto. Gli adulti legavano delle funi ai rami degli olivi per far fare la bigiangola (altalena) ai bambini, le donne stendevano candide tovaglie, più o meno ricamate, sull’erba soffice del prato trapuntato di margherite, e vi posavano il necessario per la merenda.
Io, nel pieno vigore della mia “vecchiaia”, senza un ramo secco, con il tronco contorto dagli anni e dal vento, ma senza una screpolatura, osservavo divertito e compiaciuto della compagnia; ad un tratto sentii un leggero solletico, prima sul tronco, poi via via sui rami, ed allora mi resi conto che alcuni uomini si stavano arrampicando sul mio tronco e si sedevano sui miei rami. Erano i componenti della banda musicale cittadina: 40 elementi che con i loro ottoni e tamburi, assieme al maestro, si erano appollaiati sui miei rami. Io allora li volli completamente nascondere con le mie foglie, cosicché quando iniziarono a suonare sembrava che la musica fosse generata da me, uscisse dal mio interno. Quel giorno mi sono sentito compositore, direttore e orchestrale, tutto assieme.
Tutto stava filando liscio, ero una bella pianta, la guerra, quella che per la prima volta mi aveva fatto sentire il boato delle bombe, era finita, gli esseri umani tornavano a fare festa nell’uliveto; da novembre fino a tutto gennaio ed anche oltre, allegre voci femminili mi facevano compagnia, erano le donne che raccoglievano le olive, e fu proprio in questo periodo di “nuova gioventù” che successe il fatto del fulmine. Il boato fu tremendo, mi contorsi, mi aprii, ma per fortuna non presi fuoco. Comunque mi sono ripreso e dopo che mi hanno “potato” qualche quintale di legna, continuo a vivere ed a fare bella mostra di me. Però mi chiedo:-per quanto tempo ancora? La lupa mi sta sbriciolando, i visitatori mi portavano via a pezzetti, per farci cosa poi non so, e nessuno fa nulla. Per il secondo problema mi hanno ingabbiato come un pollo, per il primo nessuno si muove.
Speriamo che fra qualche anno, il mio tronco ormai morto possa fare ancora bella mostra di se, ma sinceramente ne dubito; il ramo in alto con la testa butterata, la testa della donna che appariva come scolpita, non ci sono più, il grande gatto è notevolmente ridotto e non sembra più tale, qualche pezzo di me è appoggiato o sorretto da supporti, sembro proprio finito.
Sono finito per lo spettacolo di chi vuole ammirare un vecchio albero di oltre 3000 anni, ma non sono morto, il mio virgulto è ormai un olivo adulto, e non è mio figlio, sono sempre le mie radici, sono sempre io che non voglio cedere nonostante l’indifferenza degli uomini, che si muovono solo a parole, e poi dicono che sono un monumento. Sono stato ripreso dalla TV, nella trasmissione Linea Verde, lo ricordi mi presentavi te? E in quella occasione tu raccontasti ai telespettatori alcuni aneddoti della mia storia, nel 2007 ho ricevuto il Premio Touring assegnato agli alberi monumentali della Toscana, hanno istituito a mio nome un premio per i migliori olii extra vergini di oliva, ma non fanno nulla per cercare di tramandare alle future generazioni questo vecchio tronco scolpito dal tempo.
Sentito lo sfogo del vecchio saggio olivo, mi sembra opportuno prendere in considerazioni quello che molti hanno scritto su di lui, di alcuni scritti non conosco l’autore, in quanto sono stati presi dal Web, di quelli che conosco ovviamente li cito.
Mi sembra opportuno però evidenziare gli errori di chi ha scritto qualcosa di non vero e correggere eventuali esagerazioni ed inesattezze, per cui in corsivo agli scritti riportati ci saranno i miei commenti e le mie considerazioni.
1839-REPETTI
“Il suo pedale fu misurato nella circonferenza di 30 piedi. Ma quel meraviglioso olivo di domestico che fu era inselvatichito alla pari di tutti gli altri olivi…..per il progressivo abbandono dei campi ed il calo degli abitanti.….”. ( Causa la malaria)
1844- DENNIS:
scrive che la maestosa pianta aveva una circonferenza di 10 metri. Il Dennis dice di essere stato ospitato nel convento dei frati sicuramente i Camaldolesi che erano i proprietari dell’olivo della strega.
1911-NICOLOSI:
“ma la curiosità del luogo, quella di cui gli abitanti vanno più fieri è costituita da un olivo millenario, ancora vegeto e fruttifero che si trova nelle vicinanze immediate della chiesa. (parla della SS. Annunziata).
Questo olivo ricorda certamente il tempio pagano….. (qui il Nicolosi si lascia prendere da una bramosia poetica e racconta di antichi riti e balli facendo un po’ di confusione anche con gli anni)…… Finché un giorno i sacerdoti della nuova religione, sdegnati della persistente idolatria, l’obbligarono a produrre baccelli per convertire un giocatore disperato e bestemmiatore…” e poi continua raccontando di processioni cristiane per festeggiare il miracolo. A mio avviso il Nicolosi non ha MAI visitato l’oliveto dove si trova l’olivo della strega ed il giardino attiguo alla Chiesa dove si trovava l’olivo dei fagioli che nel 1910 era in piena vegetazione essendo stato tagliato all’incirca nel 1930, in caso contrario avrebbe visto che le piante erano due distinte e anche molto lontane l’una dall’altra e pertanto non avrebbe sparato la balla dei frati che stufi dei riti pagani costrinsero l’incolpevole olivo della strega a produrre fagioli. Il fatto che Nicolosi non sia potuto entrare nell’oliveto non è peregrino, perché nel 1910 l’oliveto, la chiesa e il giardino della stessa non erano più dei frati Camaldolesi, a seguito degli espropri del 1870, ma di un privato a cui non andava far visitare l’olivo dei fagioli, tanto che in seguito, come sopra detto, lo tagliò.
1967 – MAZZOLAI: Maremma storia e arte –
“presso la Chiesadella SS. Annunziata è il millenario ulivo della strega, il cui tronco ha il diametro di circa mt. 2.60. Intorno a questo olivo sorsero favole di tregende pagane; i frati che custodivano la Chiesettairritati per l’idolatria popolare, costrinsero la pianta a generare baccelli anziché olive” Il prof. Mazzolai, mi meraviglia, si è fidato di quanto erroneamente scritto dal Nicolosi e per uno storico del suo livello è un fatto grave non essersi informato in loco di come effettivamente stavano le cose. Nel 1967 vi erano ancora molte persone a Magliano, che avevano veduto materialmente l’olivo che faceva i fagioli e che ne avevano colto i baccelli.
ANONIMO:
“Anche la Toscana ha la propria sequoia, non è proprio una sequoia ma è comunque una antichissima pianta…gli ulivi celebri di Magliano sono tre, uno era quello dei fagioli morto di vecchiaia (purtroppo no, è stato gambizzato), l’altro olivo famoso è quello che viene trovato immediatamente nel cortile della Chiesa della SS. Annunziata e che viene scambiato per l’olivo della strega. Anche lui avrà sicuramente un’età veneranda, ma non certo quanto quella del suo più famoso fratello. (ciò avviene a causa di alcuni siti web e di alcuni scrittori che dicono che l’ulivo della strega si trova nel giardino della Chiesa) questo scritto l’ho trovato in fotocopia e purtroppo non ho il nome dell’autore.
M. MORETTI: Alla scoperta dei tesori di Magliano in Toscana (sito del TCI)
“Nel giardino adiacente (Chiesa della SS. Annunziata) domina l’ultramillenario “Olivo della Strega” che tra l’altro ha ottenuto anche il “ Premio Touring ed. 2007” assegnato agli alberi monumentali della Toscana. Si Tratta di uno dei tanti olivi millenari di Magliano riconosciuto come pianta monumentale di particolare pregio. Un tempo era un albero gigantesco. (viene sbagliata la localizzazione dell’olivo che non è nel giardino ma nell’oliveto vicino alla Chiesa)
Si racconta infatti (Riporta del lunedì di pasqua e del Corpo filarmonico) …..Oggi questo olivo è privo di buona parte dei rami ma possiede ancora un tronco robusto e nodoso (purtroppo no, dal vecchio tronco non parte più alcun ramo)
Secondo le antiche leggende, intorno all’albero si consumavano dei riti pagani e dopo l’invocazione del sacerdote l’olivo si contorceva in modo spaventoso. Questa contorsione era considerata una sorta di stregoneria e per questo fu chiamato olivo della strega. (1)
ARSIA-TOSCANA:
“Questo olivo è molto famoso e conosciuto nella zona per la forma particolare del tronco e per la sua età. L’olivo è composto da due individui, uno il vecchio albero ( con una età intorno ai 3000 anni), ormai morto ha formato il basamento dalla forma particolare su cui è nato il “nuovo” albero che ha “solo” due secoli di vita. (3)
L’olivo della strega deve il suo nome alla leggenda; si racconta che ogni venerdì la strega usava l’antico olivo, per le danze ed al termine si trasformava in gatto dagli occhi di fuoco che rimaneva a guardia dell’albero. (2)
Le dimensioni del tronco sono notevoli la circonferenza alla base raggiunge i9 metri, mentre l’altezza non è particolarmente rilevante.”
F.GIANNONI –Sito Unicoop Firenze:
“A Magliano per esempio vive un olivo con una ceppaia ridotta a un informe ma spettacolare ammasso ligneo del diametro (forse voleva dire circonferenza) di nove metri; la sua età è stimata in tremila anni e sarebbe quindi contemporaneo dei Tirreni, i nostri più lontani antenati; i polloni (rami nati dopo la morte della pianta originaria) hanno invece un paio di secoli di vita. (3)
Il vetusto albero è conosciuto come Olivo della Strega; nel Medioevo, infatti, le streghe della Maremma si ritrovavano ai suoi piedi per glorificare il diavolo con scatenati sabba infernali; ancora prima, al tempo degli Etruschi, in onore di divinità campestri e silvestri, feste e orge venivano gaiamente celebrate alla sua ombra.(2)
FLORABLOG:
“….. questa pianta è datata 1000 anni avanti Cristo. In realtà si tratta di un vecchio albero ormai morto che ha formato una gigantesca base di quasi 9 metridi diametro (ci risiamo confondono il diametro con la circonferenza) dalla quale si è generata una nuova pianta molto più giovane, si parla comunque di un paio di centinaia di anni (3)…….Ma veniamo al nome…La leggenda più diffusa su questo olivo è comunque quella che narra di una strega che ogni venerdì, durante i riti sabbatici, danzava intorno all’albero costringendo così la pianta a svilupparsi nelle forme contorte che possiamo osservare ancora oggi; al termine del rito poi la strega si trasformava in un inquietante gatto dagli occhi infuocati e rimaneva a vegliare l’albero tutta la notte.(2)
FOTOTOSCANA:
Ci troviamo a Magliano in Toscana (GR), appena fuori dalle mura del paese. Dietro alla quattrocentesca chiesa della Santissima Annunziata si trova un uliveto con piante di olea europea molto antiche. Nell’uliveto si trova l’incredibile “olivo della Strega”, censito tra gli alberi monumentali della Toscana, la cui età stimata è di oltre 3500 anni, che di fatto colloca questa pianta tra i più vecchi olivi conosciuti al mondo, ancor più vecchio di quelli dell’orto del Getzemani la cui età è stata stimata sui 3000 anni.
La pianta presenta un enorme tronco che ha una circonferenza alla base di otto metri e mezzo. Attualmente non ha un’altezza eccezionale, se si pensa che esistono olivi che raggiungono anche i 20 metri. Il fusto è composto da una massa allungata di legno dall’aspetto contorto e tormentato che sembra quasi una roccia o una curiosa scultura. La parte viva della pianta si trova rivolta a sud. In pratica, nel corso dei secoli, le parti più antiche morendo sono state sostituite da altre più giovani, così l’ulivo è come migrato verso il sole, verso la luce, lasciando a nord le parti morte del tronco
Su questo patriarca arboreo millenario si raccontano tante leggende e fatti di cronaca. Del passato recente si racconta che un lunedì di Pasqua la pianta riuscì ad ospitare sui suoi rami tutta la filarmonica del Paese composta da ben 40 elementi, che si esibì di fronte alla popolazione. (OMISSIS)
La CURIOSITA’
Il nome di “olivo della strega” vede questo albero protagonista di una serie di leggende che si rifanno agli albori del cristianesimo quando, attorno alla pianta venivano celebrate feste campestri in onore delle divinità silvane ancora venerate dai pagani. Altri racconti fanno risalire il nome al medioevo, asserendo che in sotto l’olivo di Magliano avveniva la riunione di tutte le streghe della maremma. La festa alla quale partecipavano anche fauni e centauri, per tradizione si svolgeva la notte di San Giovanni, tra il 23 e il 24 giugno, data che è tradizionalmente legata ai riti pagani del solstizio d’estate (2)
La leggenda più diffusa è quella che narra di una strega che ogni venerdì, durante i suoi riti sabbatici, danzava intorno all’albero costringendo così la pianta a contorcersi fino ad assumere le forme attuali. Al termine del rito poi la strega si trasformava in un enorme gatto dagli occhi infuocati e rimaneva a vegliare l’albero tutta la notte. Altre versioni della storia narrano dell’albero che raddoppiava di dimensioni e via fantasticando. (2)
Addirittura altri racconti popolari riportano che nello stesso uliveto esisteva un’altra pianta che un miracolo aveva costretto a produrre fagioli, o fave, invece delle olive. (Vedere la leggenda dell’Olivo che faceva i fagioli)
Al di là delle storie di streghe, è emozionante trovarsi al cospetto di questo albero millenario circondato da altri vecchi ulivi dai quali è riconoscibile oltre che per le dimensioni, anche per una recinzione che lo protegge dai numerosi visitatori.
Note:
(1)- (2) – Si potrebbe andare all’infinito a riportare tutto ciò che è stato scritto sull’olivo della strega, come potete vedere le storie, le leggende si susseguono,in altri siti si parla di streghe vendicatrici, personalmente non ho mai udito raccontare dai vecchi Maglianesi la storia della strega, dei sabba e quant’altro, tutte fantasie inventate da qualche scrittore che non si è opportunamente documentato in loco. Credo che, forse, i riti pagani possano essere stati anche celebrati sotto le sue fronde,in quanto ai tempi degli Etruschi la pianta aveva già un migliaio di anni e la sua imponenza poteva richiamare le fattezze di un tempio naturale, ma streghe e stregoneria, addirittura raduni da tutta la maremma, gatti dagli occhi infuocati e altre fantasie i miei Vecchi compaesani non le hanno mai raccontate, neppure nella tradizione tramandata oralmente. Credo che la cosa più giusta riguardo al nome, sia stata scritta nella :
GUIDA DI MAGLIANO IN TOSCANA (un ciclostilato uso manoscritto edito nel 1992 dal Parroco di Magliano Don Isacco Pezzotta,
“L’olivo detto della strega, secondo la tradizione popolare ed anche secondo esperti naturalisti dovrebbe avere la veneranda età di circa 2000 anni. Ha una ceppaia di m. 8.50 di circonferenza. Naturalmente gran parte della ceppaia è morta e in qualche modo come pietrificata, ma c’è sempre un pollone vivo che produce ogni anno olive.
Il nome “olivo della strega” forse è venuto perché attorno a questo albero dovettero consumarsi riti pagani o magici; o forse più semplicemente perché questa ceppaia tutta contorta ha svegliato nella fantasia popolare l’immagine di una vecchia strega.
Difatti anche nel mio racconto parlo di figure, di immagini, anche umane che si potevano vedere nei rami contorti e nel tronco modellato dal tempo e dagli agenti atmosferici. ( nelle vecchie foto si notano alcune “ facce” quasi umane)
(3) –Qualcosa non mi torna, ci sono foto dell’olivo della strega abbastanza recenti, anni dal 1910 in poi, dove la pianta è ancora in frutto e l’episodio del corpo bandistico si riferisce alla fine degli anni 40, per cui il pollone non è nato dopo la morte della pianta, ma è stato allevato precedentemente.
Vittoriano Baccetti
Foto dell’ulivo della Strega.
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]]>Il palazzo di Checco Bello a Magliano in Toscana Leggi altro »
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]]>“La via principale, che attraversa il paese in tutta la sua lunghezza, prosegue poi
verso la piazza maggiore, presentandoci un altro aspetto della stessa epoca. A poco
a poco la pietra sostituisce il mattone, gli edilizi cessano di esser case per diventare
palazzi e raggiungono il massimo dell’eleganza e della ricchezza in quello aldobrandesco
che il popolo battezzò come palazzo di Checco Bello, molto sciupato, ma ancor
tale da imporsi all’ammirazione.
Ed anche in questo caso quanta semplicità di mezzi per raggiungere lo scopo!
Tre sole bifore, elegantissime per dire il vero, una cornice lungo tutta la facciata a
formar davanzale, segnando dov’esse si impostano, e a sorreggerne i colonnini; una
seconda più in alto, parallela alla prima tra l’una e l’altra finestra, incurvantesi a
rinchiudere di un arco tondo i due archetti gotici in corrispondenza d’ognuna; qualche
mensola sporgente, uno stemma e null’altro. Ma che mirabile effetto ottiene questa
parca decorazione marmorea sulle ruvide bozze e che reciso contrasto fra il candore
luminoso del marmo e la tinta calda, ocracea e sanguigna, della pietra, specialmente
quando il sole vi picchia festevole e la vivifica tutta!”
Da Magliano in Toscana – Palazzo di Checco Bello |
Guido Gianni, nel suo “Magliano, un Baluardo in Maremma” del 1970, invece si limita a scrivere:
“su via Garibaldi si affaccia anche la casa detta di Checco Bello, un nostro concittadino passato alla storia, ma fino ad oggi non meglio identificato, forse un play-boy dell’Epoca.”
Nicoletta d’Ardia Caracciolo, Minucci Mino, Lamioni Daniele, nel loro “Magliano e Dintorni”
“Percorriamo il Corso lasciando sulla destra la Pieve di S. Giovanni Battista, sulla sinistra possiamo ammirare un elegante palazzotto in Pietra. Come dimostra lo stemma murato sulla facciata fu sede della nobile famiglia orvietana del Monaldeschi che lo usarono come loro residenza rurale. Le testimonianze storiche su questo edificio sono stranamente inesistenti…” infatti fanno notare, giustamente, che neppure il Gherardini nella sua visita del 1676 lo menziona.
Non mi sembra neppure che ne parli Zuccagni Orlandini nel 1832, per cui il primo a parlarne sembrerebbe che sia stato proprio il Nicolosi. Colui che lo battezzò per primo Palazzo di Checco Bello, nella sua visita a Magliano del 1910.
Si racconta che il Nicolosi, giunto davanti a questa splendida costruzione, chiedesse ad una persona del posto (Non escluderei che si fosse trattato del “Cucco”, al secolo Fortunato Gianni, nonno dello scrittore Guido Gianni, in quanto aveva una privativa ed emporio proprio nel fondo del palazzo) :-di chi è questo Palazzo-, e l’altro rispose:- di “Checco Bello” (badate bene non di checco il bello) e come tale lo ha scritto nel libro prima citato.
Chi era Checco Bello? Era una persona che si chiamava di fatto Francesco Salvi, nato a Magliano nel 1864 e qui morto il 27 agosto del 1919 alle ore 6.45, (forse suicida), era un Esattore delle Imposte, molto amico del Cucco, che a sua volta doveva essere guardia del dazio, quindi quasi colleghi, era un bell’uomo, sposato; da nessuna parte risulta che fosse stato un donnaiolo. A questo proposito ricordo che quando usci il libro di G. Gianni, che lo definiva “forse un play-boy dell’Epoca”, mio padre che era un cultore della storia locale, mi disse:- “ Questa poi da Guido non me la sarei proprio aspettata, Checco Bello era un intimo amico del su’ nonno, ed io lo ricordo bene, anche se quando è morto avevo 7 anni, e non mi risulta che fosse un donnaiolo, almeno per quello che si è sentito dire anche in seguito”- Ovviamente chiamò Guido Gianni e gli fece notare la “cavolata” scritta.
Oggi vari autori più moderni, facendosi dal Mazzolai, la Procopio, la Moretti e tanti altri, vedi anche in Wikipedia, in qualche caso riportando virgolettato lo scritto del Nicolosi, si sentono in dovere di ribattezzare il Palazzo aggiungendo quell’articolo “IL” che potrebbe cambiare proprio il significato del soprannome, e, seguendo la traccia del Gianni, altri ancora continuano, senza prove, a dare del Casanova a Checco Bello. Che pover’uomo altri vizi aveva, come bere e qualche debituccio di troppo, che lo portò a vendere, a forza di prestiti, almeno parte del palazzo.
Si racconta la scenetta della cambiale che Checco Bello aveva firmato, e che giunta a scadenza non era in grado di pagare. Quando il creditore si presentò per la riscossione, Checco Bello, prese il titolo in mano, come per saldarlo e poi con mossa fulminea lo porto alla bocca e lo mangiò, lasciando il creditore sbigottito. Il creditore si rivolse al Cucco, comune amico, perchè intervenisse in suo favore. Il Cucco lo tranquillizzò, dicendogli “ora facciamo una bella merenda con abbondante vino e vedrai che sotto gli effetti del vino ammetterà il suo debito, per cui con i testimoni (normalmente alle merende del Cucco, prendevano parte, oltre il Parroco, il Dottore, il Farmacista, il Maresciallo, ed altri amici), potrai cercare di esigerlo anche in futuro. Così avvenne. Alla fine della merenda, tutti iniziarono a cantare le lodi di quello o di quell’ altro componente, l’interessato faceva eco cantando il ritornello. Dopo un po’ di canti, il Cucco furbamente tirò in causa Checco Bello, ed in coro i presenti cantarono “Checco Bello è un brav’uomo” e Checco Bello ripetè “Checco Bello è un brav’uomo”, poi dopo altri sonetti “Checco Bello ha mangiato una cambiale” e Checco Bello cantò “Checco Bello…..non canta più”. Così si estinse il debito.
Sulla denominazione del palazzo ha sbagliato anche l’amministrazione comunale nella targa posta vicino allo stesso mettendo quell’articolo “IL”, così come è sbagliata la iscrizione negli inventari SBAP di Siena e Grosseto.
La prima volta che ho trovato , su un documento,l’errata denominazione del palazzo, è in un progetto redatto dalla Università di Firenze –facoltà di Architettura- per il restauro architettonico.
Il Nicolosi a mio avviso ha una lacuna, nota lo stemma sulla facciata, ma gli dà poca importanza, non lo collega ai Manaldeschi. Infatti lo stemma sul palazzo di Checco Bello è dei Monaldeschi, quindi lo hanno costruito loro, o comunque vi hanno abitato, mentre forti dubbi vi sono che vi abbiano abitato gli Aldobrandeschi, che in quei giorni, erano molto meno presenti nella “curtis di Malleanum”.
Da Magliano in Toscana – Palazzo di Checco Bello |
In “Magliano e Dintorni” viene detto che si trattava della residenza rurale dei nobili orvietani, ma non viene spiegato perché i Monaldeschi avessero un palazzo nella Contea Aldobrandesca in un periodo in cui le lotte con Siena per il possesso del castello erano all’ordine del giorno. Si dice che il palazzo sia del XIV sec, e proprio in questo secolo, e precisamente nel 1334, si legge nelle cronache di Orvieto che:-
<<…..in quest’anno 1334, divenne principe di Orvieto Ermanno del Signor Corrado dei Monaldeschi,. Che, dopo avere assunto il potere, lasciò Chiusi ai Perugini, per consolidare la pace con essi e governò autorevolmente sulla città, sul contado, e sulla val di Lago, sulla val di Chiana, sul Monte Amiata, sulla contea Ildebrandesca (alludendo al vescovo conte Ildebrando di Soana), e su quella di Santa Fiora (queste due contee Ildebrandesca e di Santa Fiora – erano nelle “terre Aldobrandesche”, già facenti parte di una donazione di Matilde di Toscana, alias di Canossa)…>>
Quanto qui riportato si può leggere nella dedica fatta dal cartografo I. Danti a Monaldo Monaldeschi nel 1583.
Magliano in quel periodo faceva parte della contea Aldobrandesca di Santa Fiora, anche se nel 1331 sulla contea c’era lo zampino di Siena per i nuovi patti di accomandigia. Comunque niente di strano che il Monaldeschi possa avere governato la contea e conseguentemente possa avere costruito un palazzo in terra di Maremma, da usare come residenza di campagna, casino di caccia ecc.
Alla luce di quanto sopra e vista l’inconfutabile presenza dello stemma dei Monaldeschi sulla facciata del Palazzo di Checco Bello, sarebbe più opportuno nominare il fabbricato con un nome più appropriato e forse anche più importante, che potrebbe essere Palazzo Monaldeschi detto di Checco Bello (ovviamente senza quell’articolo “il”).
Vittoriano Baccetti
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]]>Marcia degli etruschi: ultimissime Leggi altro »
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]]>Cari Castellini,
Nel dubbio che i precedenti scritti non siano stati sufficientemente chiari, si evidenzia quanto segue:
La marcia degli Etruschi è aperta a tutti: a soci, ad amici e conoscenti che amano
camminare.
Perché dobbiamo perdere tempo ad iscriverci, quando l’autobus che ci porta a Cencelle è gratuito? – chiedono alcuni.
Chiarito che, l’assessore allo sport ha promesso un contributo simbolico; non sappiamo quanto piccolo, né quando questo aiuto economico ci verrà materialmente elargito; per ora, le spese del trasporto dei partecipanti da Civitavecchia a Cencelle sono a carico nostro.
La Castellina ha preso accordi sia con l’E.T.M. per un autobus da 32 posti, sia con Galatour S.r:l. per un autobus da 54 posti, da confermare entro una data ben precisa.
Se non conosciamo per tempo il numero esatto dei partecipanti, come facciamo a decidere quanti autobus prenotare ?
La partenza dell’autobus o degli autobus è fissata per le ore 8,30 presso il Parcheggio dell’Aqua Felix, sulla via Braccianese – Claudia, che è la strada che conduce a Tolfa.
Ultimo appello.
Sono state stampate 200 locandine, delle quali 150 sono state affisse dai volontari della Castellina per tutto il circondario: a Ladispoli, Cerveteri, Tarquinia, Santa Severa, Santa Marinella, Tolfa ed Allumiere; purtroppo poche in città per mancanza di manovalanza.
Sta di fatto che, ci sono circa 50 le locandine ancora da attaccare. Lo zoccolo duro della nostra Associazione, cioè quelli che partecipano attivamente alle attività sono circa una cinquantina.
A oggi, 1° maggio, mancano ancora sette giorni alla fatidica data della Marcia degli Etruschi, per cui se vi attivate per tempo, ritirando una locandina per ciascuno presso Anna Claudia o presso Mauro, provvedendo ad affiggerla presso i vostri posti di lavoro, le Scuole, le Parrocchie o presso attività commerciali di buona visibilità, abbiamo la possibilità di pubblicizzare al massimo la nostra camminata.
Cercate di collaborare! Fatelo in rispetto dei tanti che si stanno prodigando con affetto per la buona riuscita di questa simpatica iniziativa.
Contiamo su di voi.
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]]>Cari Castellini,
LA MARCIA DEGLI ETRUSCHI SI RIDUCE DI DUE CHILOMETRI
Con grande piacere vi comunichiamo che, i chilometri effettivi della Marcia degli Etruschi si sono ridotti da 15 (quindici) a meno di 13 (tredici), per merito della Società di trasporti GALATOUR di Cerveteri, la quale si è resa disponibile a trasferire i partecipanti alla camminata dal parcheggio dell’Aqua Felix sin sotto le mura dell’antico abitato di Cencelle, così da farci risparmiare la distanza di due chilometri, che intercorre tra La Farnesiana (luogo di arrivo inizialmente indicato) e questo sito archeologico.
IL POSTO IN AUTOBUS DALL’AQUA FELIX A CENCELLE E’ GRATUITO
La sensibilità dell’autentico sportivo, che caratterizza Roberto Petito, Assessore allo Sport del Comune di Civitavecchia, ha favorito la concessione di un prezioso contributo, sufficiente a coprire per intero il nolo di un autobus da 54 posti, ed in parte (qualora le iscrizioni alla Marcia lo richiedessero), anche quello di ulteriore mezzo di 20 posti.
PRENOTATE IN TEMPO
Se volete assicurarvi un posto in autobus e partecipare insieme ai vostri amici all’avventurosa iniziativa, che è la Marcia degli Etruschi, non vi resta che contattare al più presto: Mauro Tisselli, ad Alberto, a Claudia Tisselli o, ad Anna Claudia della Galleria del Libro.
Per informazioni più dettagliate, poi, potete consultare il sito: www.associazionelacastellina.com
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]]>La marcia degli etruschi con la Castellina Leggi altro »
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]]>Cari castellini,
in allegato troverete la locandina relativa alla preannunciata Marcia degli Etruschi; si tratta di una camminatona di “appena” 15 chilometri: lungo un itinerario quasi tutto pianeggiante.
Considerato lo stato di forma da voi raggiunto in questo ultimo periodo a seguito delle varie escursioni invernali, non credo che l’impresa vi possa spaventare.
Per i meno allenati, comunque, è previsto un itinerario ridotto della lunghezza di circa 7 (sette) chilometri, con possibilità di essere recuperati da parenti ed amici, alla fine della Strada dei Cipressi, dove questa asfaltata incontra la Via Etrusca che andremo a percorrere durante la Marcia .
Per aderire all’iniziativa e prenotare anche il posto sull’autobus che, dal parcheggio dell’Aqua Felix condurrà la comitiva dei camminatori sino alla chiesa della Farnesiana, non dovete far altro che segnalare il vostro nome a Mauro – ad Alberto – a Claudia o ad Anna Claudia, via telefonica o via e-mail.
La quota di partecipazione relativa al mezzo noleggiato dalla nostra Associazione – pari ad €. 5,00 (cinque) – verrà raccolta al momento della partenza.
Colgo l’occasione per inviare a voi tutti, a nome mio e di tutto lo staff della Castellina, i più affettuosi auguri di Buona Pasqua.
———————-
Nota: La Strada dei Cipressi è facilmente individuabile nel punto in cui l’A12 Roma – Civitavecchia ha termine, e s’innesta nella Statale Aurelia. A breve riceverete maggiori dettagli riguardo l’ora, il punto preciso di recupero ed altri particolari della camminata in programma.
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